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Dario Melpignano Confindustria Rapallo

PaesEuropa – Tempo di nuova globalizzazione

Dario Melpignano, CEO di Neosperience, venerdì 24 giugno è intervenuto al 51° Convegno Nazionale dei Giovani Imprenditori di Confindustria a Rapallo con uno speech dal titolo "L'Impresa Intelligente".

Insieme al giornalista Davide Parenzo, Dario ha discusso delle prospettive che l'intelligenza artificiale offre per la salute e l'economia del Paese davanti a un parterre d'eccezione, composto da personalità di spicco della politica, delle istituzioni e dell'imprenditoria italiana.

L'impresa intelligente, per Dario Melpignano, è capace di adattarsi al cambiamento, sopravvivere e prosperare:

Se oggi il primato dell’intelligenza è nella cosiddetta “intelligenza emotiva”, le nostre aziende devono imparare in primis a essere empatiche, cioè capaci di adattarsi alla mutevolezza del tempo della nuova globalizzazione.

L'empatia è al centro anche all'impegno di Neosperience nel campo della salute.

Sul palco di Rapallo Dario Melpignano ha dimostrato con successo il modo in cui Neosperience Health utilizza l'Intelligenza Artificiale per migliorare le performance dei processi pre-analitici e diagnostici.

 

Guarda l'intervento

Se non riesci a vedere il video, visita questo link

Invece qui sotto potrai scaricare l'ebook sulle 6 qualità fondamentali per un'impresa empatica, ovvero il continuum dell'intervento di Dario sulle Lezioni Americane di Italo Calvino.
Ebook Lezioni Americane

 

Verso un nuovo modello imprenditoriale

L'era della nuova globalizzazione è iniziata: i CEO di oggi e domani dovranno superare al più presto l'approccio taylorista-fordista al lavoro e integrare la tecnologia nel proprio bagaglio di esperienze.

Solo mettendo in campo l'intelligenza emotiva e facendo leva sull'empatia sarà possibile creare un valore aziendale maggiore della somma delle parti, in grado di fare tesoro delle potenzialità del digitale.

Il Mediterraneo, ha sottolineato Melpignano citando personalità del calibro di Federico Faggin e Giulio Tononi, è una fucina di talenti imprenditoriali. Proprio da questo contesto prende vita infatti un modello di azienda alternativo all'oligopolio tecnologico californiano.

Ed è proprio da un autore molto lontano dalla Silicon Valley che Dario ha preso ispirazione per delineare le qualità dell'impresa intelligente del domani, che Neosperience mette in pratica già da oggi giorno dopo giorno: Italo Calvino.

Come suggeriscono le sue Lezioni americane, servono ora più che mai leggerezza, rapidità, esattezza, visibilità, molteplicità e coerenza per affrontare il futuro.

Italo Calvino Lezioni Americane

Scopri le soluzioni che Neosperience offre alle aziende per una transizione digitale alla potenza dell'empatia:

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uncanny valley

Quando ci troviamo a progettare soluzioni tecnologiche in grado di interagire attivamente con gli utenti, è bene tenere conto di un rischio particolare: la sensazione di disagio e repulsione che si prova davanti oggetti o sistemi così realistico da replicare in modo quasi perfetto l’aspetto umano.

Questo effetto ha un nome: Uncanny Valley (ovvero “valle perturbante”) e può coinvolgere non solo robot e assistenti virtuali, ma anche chatbot e sistemi conversazionali. In questo articolo approfondiremo il concetto di Uncanny Valley e le soluzioni possibili nella progettazione di un’intelligenza artificiale empatica.

 

Uncanny Valley, la “valle oscura” della percezione umana

Il termine “Uncanny Valley” risale al 1970 ed è stato coniato da Masahiro Mori, professore di robotica al Tokyo Institute of Technology, in un articolo inizialmente pubblicato sulla rivista giapponese Energy. Masahiro riassume in un grafico il rapporto tra la somiglianza tra un oggetto e un essere umano e il grado di affinità (indicato con il termine shinwakan) che si prova nei suoi confronti.

Come si può osservare nel grafico qui sotto, fino a un certo punto gli osservatori provano maggiore empatia nei confronti degli automi più simili agli esseri umani: un robot giocattolo attira l’attenzione più di un macchinario industriale, perché in qualche modo evoca le fattezze umane pur senza riprodurle con fedeltà. Quando la somiglianza si fa più precisa, tuttavia, la curva della risposta emotiva precipita bruscamente.

uncanny valley

Questo avvallamento corrisponde al senso di disagio e inquietudine che gli osservatori provano nei confronti di oggetti che a un primo sguardo sembrano reali, per poi rivelarsi invece artificiali. Questo effetto, rileva inoltre Masahiro, tende ad accentuarsi se entra in gioco la componente del movimento.

 

Uncanny Valley e prodotti multimediali

uncanny valley

Gli esempi che Masahiro riporta per identificare il concetto di Uncanny Valley spaziano dalle applicazioni della robotica industriale ad altri tipi di oggetti inanimati, come bambole e burattini del teatro giapponese, per culminare in rappresentazioni fantastiche come gli zombie.

Nel corso degli ultimi decenni l’Uncanny Valley ha attirato l’interesse degli esperti di tecnologia, rivelandosi più attuale che mai davanti agli ultimi progressi nel campo della robotica, dell’Intelligenza Artificiale e del Machine Learning. 

Allo stesso modo il concetto di Uncanny Valley è stato applicato trasversalmente anche a diverse forme di arte e cultura popolare, in particolare nel caso dei prodotti che fanno uso di effetti di computer grafica (CGI).

Sono stati attribuiti all’Uncanny Valley gli scarsi risultati ottenuti al botteghino da film come Final Fantasy: The Spirits Within (2001). Nell’articolo A-Life and the Uncanny in Final Fantasy la studiosa Livia Monnet ipotizza che l’insuccesso della pellicola sia dovuto proprio al suo iperrealismo digitale, tale da causare nello spettatore sensazioni di ostilità.

 

Cos’è il perturbante? Le origini dell'Uncanny Valley

Sebbene formulato nella sua accezione attuale solo nella seconda metà del ‘900, il concetto di Uncanny Valley affonda le sue radici nella categoria del perturbante (Das Unheimliche) elaborato dal filosofo e psicologo tedesco Ernst Jentsch

ritratto di E.T.A. Hoffmann

Prendendo come esempio la letteratura del Romanticismo tardo-ottocentesco, come i racconti fantastici di Ernst Theodor Amadeus Hoffmann, Jentsch identifica il perturbante come una sensazione di “incertezza intellettuale” che sorge davanti a oggetti dalle fattezze ambigue come bambole, automi meccanici e manichini di cera.

Sigmund Freud riprende e rielabora il concetto di Unheimlich nell’omonima opera del 1919. Per Freud il perturbante, connesso al processo psicodinamico della rimozione, è “quella sorta di spaventoso che risale a quanto ci è noto da lungo tempo, a ciò che ci è familiare”, che se rivelato provoca in noi uno stato di allerta.

 

Androidi, cloni e replicanti

uncanny valley

Il panorama della tecnologia offre diverse occasioni di spunto sulla possibilità di incorrere nell’effetto di Uncanny Valley, in particolare se si considerano le applicazioni della robotica e dell’Intelligenza Artificiale in diversi contesti professionali e nella vita quotidiana. 

Sophia è un robot umanoide sviluppato da Hanson Robotics nel 2016 e dotato di Intelligenza Artificiale, grazie a cui riesce a riprodurre le espressioni facciali con un alto grado di fedeltà. Ormai divenuta una sorta di celebrità, al punto da partecipare a una puntata di talk show insieme al presentatore Jimmy Fallon, Sophia rappresenta per molti l’esempio più lampante di Uncanny Valley.

Se si espande ancora di più il concetto di natura umana, un esempio interessante è invece Ai-Da, un’Intelligenza Artificiale sviluppata nel 2019 con lo scopo di produrre opere d’arte figurativa e performance art. L’esistenza di Ai-Da e delle sue opere, frutto di sofisticati algoritmi, porta il pubblico a porsi quesiti sul rapporto tra umano e macchina e sulla natura dell’arte stessa.

La riproduzione artificiale delle espressioni umane è infine al centro della tecnica dei deepfake. Un deepfake può replicare a tutti gli effetti le fattezze e la voce di una persona grazie al Generative Adversarial Network, una branca del Machine Learning attraverso cui la macchina apprende le caratteristiche e i pattern del personaggio da riprodurre. In questo modo è possibile realizzare video capaci di ingannare in modo convincente molti spettatori, con tutte le ripercussioni etiche e legali del caso.

 

Chatbot AI e Uncanny Valley

uncanny valley

Non tutte le intelligenze artificiali presentano un’interfaccia visiva. Prodotti come gli assistenti vocali e i chatbot possono anch’essi risultare perturbanti: grazie al Natural Language Processing (NLP) essi infatti riproducono in modo sempre più fedele la voce e le strutture linguistiche del discorso umano.

In un’intervista a Wired del 2019 la studiosa di robotica e ricercatrice del MIT Aleksandra Przegalinska fa luce sulla possibilità di incorrere nell’effetto di Uncanny Valley anche in questo tipo di prodotti.

La mancanza di una reazione empatica potrebbe essere una delle ragioni per cui il pubblico tratta spesso con ostilità questi agenti conversazionali, al punto che Siri, l’assistente vocale di Apple, ha un set di risposte pronte per controbattere alle domande più moleste (arrossirei se potessi). 

D’altra parte, in parziale contrasto con le affermazioni di Przegalinska, altri studi empirici svolti sull’interazione con i chatbot affermano la mancanza di un effetto Uncanny Valley laddove la componente visiva non sia presente.

Resta comunque ancora una questione aperta: oggi è opinione comune che gli sviluppatori di queste soluzioni debbano garantire agli utenti trasparenza riguardo alla natura dell’agente conversazionale con cui interagiscono, specificando se si tratta di un umano o di un bot. 

 

Conclusioni

In Neosperience non ignoriamo l’importanza di affrontare questi temi: per questo, quando abbiamo progettato Sofia, un’intelligenza artificiale votata ad assistere empaticamente gli utenti, ci siamo posti il problema dell’Uncanny Valley. 

Sofia infatti è un assistente virtuale estremamente evoluto, basato sulla piattaforma Neosperience Cloud e sulla tecnologia di NLP Gpt-3 di OpenAI. Oltre a decifrare e interpretare lo stato emotivo dell’interlocutore e ricavarne una profilazione psicologica, grazie al Machine Learning Sofia è capace di formare pensieri compiuti e ampliare il suo linguaggio con l’utilizzo di vocabolari settoriali afferenti alle diverse applicazioni, dalla medicina alla finanza.

Dato lo sviluppo tecnologico delle soluzioni messe in campo per Sofia, per evitare che fosse troppo “perfetta”, abbiamo progettato Sofia in modo da risultare, al contrario dell’androide sua omonima, più meccanica rispetto ad altri assistenti virtuali. In questo modo non corriamo il rischio di ingannare l’interlocutore sulla sua vera natura anche nelle interazioni più brevi o superficiali con l’intelligenza artificiale, instaurando così un rapporto di sicurezza e fiducia.

C’è sempre la possibilità di superare l’Uncanny Valley: man mano che le tecnologie si fanno sempre più sofisticate l’interazione con robot e intelligenze artificiali entrerà presto a fare parte della nostra quotidianità e ci spingerà a superare la paura degli automi.

Se sei interessato a implementare il nostro virtual assistant, contattaci!

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Arredamento e Design: opportunità per continuare a crescere

In questo articolo vi parleremo delle opportunità di crescita e innovazione nel settore dell’arredamento e del design

Oggi il contesto in cui gli operatori del settore si stanno muovendo è complesso, ma in forte ripresa. Sebbene l’aumento dei costi delle materie prime e i ritardi di approvvigionamento abbiano ritardato consegne e fatto lievitare i costi per il consumatore finale, al momento il mercato sta reagendo positivamente, più di quanto ci si aspettasse soprattutto per quanto riguarda il B2C.

Molti imprenditori del settore hanno affermato che - tra quest’anno e lo scorso- hanno assistito a un flusso di acquisti superiore del 50% rispetto al periodo precedente. 

Sebbene sia una notizia positiva, che dimostra il valore inattaccabile del settore, è comunque necessario che le aziende continuino ad affrontare e integrare i cambiamenti che sono avvenuti in quest’ultimo periodo, sia per quanto riguarda il rapporto con il mercato B2C, sia soprattutto per il B2B

Rimane interessante notare, inoltre, come questa situazione di difficoltà abbia contribuito a far prendere coscienza delle proprie potenzialità e abbia generato nuove opportunità da poter cogliere anche a lunga distanza.

In questo articolo vi racconteremo quali sono le soluzioni migliori per affrontare i mesi e gli anni che verranno.

Value China: il ponte tra Occidente e Oriente

Pensando alla crescita del settore in ottica globale diventa imprescindibile prendere in considerazione un paese in profonda trasformazione come la Cina: un mercato, quello dell’arredamento cinese, che negli ultimi tempi si è evoluto rapidamente, tanto da rappresentare una grande opportunità per i marchi internazionali.

Infatti i giovani consumatori cinesi oggi abbracciano pienamente le influenze occidentali nel design, in particolare quelle italiane.

Questa evoluzione “di gusto” è il riflesso di un cambiamento da parte dei consumatori cinesi, che ora richiedono una più ampia varietà di stili e influenze estetiche, oltre a quelle locali.

Artisti e designer cinesi hanno dato vita a mix tra elementi cinesi e occidentali per creare ambienti sofisticati e contemporanei nello stile definito “minimalista cinese contemporaneo”. 

I marchi che desiderano espandersi in Cina hanno come obiettivo primario quello di definire e identificare chiaramente un audience di riferimento. È di primaria importanza comprendere a fondo il pubblico a cui ci si riferisce riuscendo a delineare i loro interessi sullo stile di vita. 

Diventa più semplice a questo punto identificare e adattare il prodotto da spingere sul mercato e lavorare su una strategia di sviluppo online e offline intelligente, che includa sia la vendita al dettaglio fisica sia digitale. Inoltre, trovare community e KOL giusti con cui collaborare è fondamentale per comunicare al meglio il proprio brand ai consumatori giusti.

Per raggiungere questo obiettivo ed espandere il proprio mercato nell’estremo oriente, Value China rappresenta l'agenzia di consulenza, marketing e digital transformation per la Cina migliore, capace di supportare le aziende nel potenziare la loro presenza sul mercato, migliorandone la visibilità, l'awareness e KPI.

Mixed Reality per Arredamento e Design

Il settore dell’arredamento deve poter far toccare con mano i prodotti ai clienti. Questo non toglie però che la maggior del pubblico - in una fase precedente all’acquisto - decida di informarsi attraverso i canali digitali

Solitamente, dopo aver cercato su Google o aver sfogliato qualche rivista di design, gli utenti interessati finiscono inevitabilmente per visitare il sito del brand, desiderosi di poter vedere e approfondire le informazioni sui prodotti. In quel momento, su quel touchpoint, il possibile acquirente prende una decisione: andare in negozio per magari acquistare, o continuare la ricerca.

È quindi essenziale che il brand offra un’esperienza di visione virtuale del prodotto coinvolgente ed efficace, che stimoli l’interesse dell’utente e lo convinca a dirigersi verso lo store. 

Questo discorso è valido per il B2C, ma anche - soprattutto oggi - per il B2B

La Mixed Reality è una soluzione per le esperienze virtuali che raggruppa due tecnologie simili concettualmente, ma molto distanti come modalità di fruizione: la Realtà Aumentata e la Realtà Virtuale.

La prima si serve di uno strumento - lo smartphone principalmente - per posizionare nell’ambiente circostante i modelli 3D degli oggetti, anche animati, con cui l’utente può parzialmente interagire.

La seconda invece ha bisogno di un visore dedicato, che, una volta indossato, proietta l'utente in una realtà totalmente virtuale, dove può muoversi liberamente e interagire con l’ambiente. 

Quali sono le applicazioni di queste tecnologie per l’arredamento? 

Come ci ha insegnato negli anni Ikea Place, non esiste strumento migliore della Realtà Aumentata per permettere agli utenti di testare come l’arredamento si posiziona all’interno degli spazi abitativi. Il successo dell’esperienza proposta dal gigante svedese dimostra, se ancora ce n’era bisogno, che il pubblico è pronto e vuole un’offerta di questo tipo.

Riguardo invece alla Realtà Virtuale, questa tecnologia si è dimostrata particolarmente efficace per il B2B, siccome è in grado di offrire  ai buyer un’esperienza virtuale coinvolgente, che non si limiti alla presenza fisica alle fiere di settore.

Per esempio, spedendo i visori direttamente agli interessati, questi potranno scoprire e interagire con le nuove collezioni. Aprire un divano letto per vedere com’è all’interno? Si può fare. Inserire la prolunga su un tavolo? Anche. Oggi questa tecnologia ha raggiunto livelli qualitativi inimmaginabili.

Arricchire le fasi precedenti all’acquisto è diventato essenziale. 

Il valore dato all’esperienza del cliente, oggi sempre più centrato sul digitale, è il discriminante tra successo e insuccesso.

Customer Data Platform

Senza scendere in tecnicismi, in questa sezione vi spiegheremo quali sono i vantaggi derivanti dall’adozione di una Customer Data Platform (CDP) e dall’implementazione di strategie per acquisire le informazioni di contatto e personali di utenti e clienti.

Spesso le aziende che vendono arredamento, sia B2C sia B2B, fanno un errore: si dimenticano di recuperare i dati dei clienti. 

Come mai? 

Per quanto riguarda il B2B, la motivazione è una sola: siccome gli acquirenti medio-piccoli (architetti, ristoratori, etc.) si rivolgono direttamente a terze parti, i loro dati rimangono ai rivenditori e non arrivano al brand

Per quanto riguarda il B2C, invece, oltre al discorso sui rivenditori (ugualmente valido), c’è un’altra motivazione molto semplice: chi compra una cucina, un divano o dei sanitari difficilmente ripete l'acquisto nel breve o medio periodo; per questo motivo molte aziende decidono di non recuperare i dati del cliente per ricontattarlo e fidelizzarlo. La visione comune è che questa sia un’attività troppo costosa e dispersiva, che non porta dei vantaggi reali.

L’azienda così facendo perde invece un’occasione per instaurare un legame con il cliente che, anche se forse non nell’immediato, indubbiamente le porterà dei vantaggi. 

Immaginiamo che un avvocato - cuoco amatoriale ma appassionato - debba rinnovare casa. Si presenta da un rivenditore e acquista la cucina dei suoi sogni. Il brand recupera i dati del nuovo cliente. Come? Gli chiede di attivare la garanzia della cucina sul proprio sito internet. Memorizza quindi i suoi dati e li inserisce nella propria Customer Data Platform

Qualche giorno dopo manda un’email al cliente offrendogli uno sconto su un corso di cucina.

Dopo un mese, invece, gli regala un codice sconto per l’acquisto di utensili professionali per cucinare. 

Il secondo mese scrive al cliente per invitarlo a partecipare a un concorso: compilando il questionario potrà vincere una cena cucinata in casa propria da uno chef tre stelle Michelin.  

Via via che passa il tempo, fra brand e utente si creerà un legame.

Quando il cliente dovrà consigliare agli amici quale cucina acquistare, consiglierà la sua. Quando dovrà cambiare cucina nella casa al mare, comprerà sempre dallo stesso brand

Stesso identico discorso è valido per il B2B: magari il produttore in questo caso - dopo l’acquisto - offrirà sconti per le piastrelle di un partner, o agli architetti una masterclass con un famoso designer internazionale. Più saranno validi i vantaggi che offre il brand, più i professionisti torneranno ad acquistare.

In ogni caso, il discorso è sempre lo stesso: creare una relazione con i clienti è ciò che permette a un’azienda di crescere nel tempo, con la consapevolezza di poter contare su una solida base di appassionati. 

La Customer Data Platform serve proprio a questo: a creare relazioni.a rendere più semplice il contatto con il pubblico, grazie a automazione e personalizzazione, e a facilitare la gestione dei clienti e dei loro dati.

Conclusioni

In definitiva, per il settore dell'arredamento e del design è tempo di cambiare alcuni paradigmi operativi e strategici, per continuare a crescere e portare la qualità del Made in Italy in tutto il mondo.

Se sei interessato ad approfondire le applicazioni delle tecnologie Neosperience al settore, ti invitiamo a contattarci cliccando sul. link qui sotto.

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Virtual Exhibition: Neosperience e Value China per gli eventi B2B

Una Virtual Exhibition per la tua azienda nell'area APAC

Stiamo vivendo una situazione drammatica, è innegabile, ma, come spesso si dice, una crisi è anche un'opportunità. Ecco perché abbiamo sviluppato la soluzione verticale Virtual Exhibition (Smart Exhibition nella versione dedicata al pubblico asiatico).

È arrivato il momento di rivoluzionare gli eventi B2B internazionali.

Oggi esistono tecnologie in grado di supportare e facilitare la realizzazione e la gestione delle fiere B2B; in questo articolo vi parleremo della nostra soluzione verticale che abbiamo realizzato per il settore.

Il problema

Oggi viaggiare per partecipare a fiere ed eventi internazionali è difficile, soprattutto nei paesi dell'area APAC.
Siccome questa situazione rischia di perdurare nel tempo, è ormai diventato essenziale trovare un’alternativa.

La soluzione

La soluzione che abbiamo individuato si basa sul concetto di “digitalizzazione dell’esperienza”. Noi in Neosperience ci siamo posti l’obiettivo di riuscire a sviluppare una piattaforma che riuscisse a unire al suo interno i punti di forza del settore degli eventi internazionali con le prerogative di un’esperienza virtuale.

La Neosperience Virtual Exhibition è una soluzione verticale pensata per aiutare le realtà italiane a creare e gestire i propri eventi internazionali. Abbiamo inoltre voluto guardare con un occhio speciale al mercato cinese.

Il motivo? Siamo convinti che le migliori opportunità di business sono - e saranno in futuro - ad appannaggio dei paesi asiatici. Per questo motivo abbiamo accolto all’interno della nostra famiglia Value China, una società specializzata nell’aiutare le aziende italiane a crearsi un proprio mercato nel paese del dragone.

I tuoi obiettivi

Ci siamo quindi dedicati a delineare quelli che pensiamo siano gli obiettivi di ogni azienda o organizzazione desiderosa di realizzare il proprio evento internazionale.

  • Sviluppare e proporre un ecosistema digitale che sia in grado di forgiare nuovi modi per coinvolgere gli espositori e i visitatori. In poche parole, creare una community;
  • Ideare e realizzare esperienze rilevanti ed efficaci per sorprendere i visitatori;
  • Connettere, influenzare e costruire fiducia negli audience di riferimenti, su ogni piattaforma e device;
  • Permettere la creazione di un database di qualità con informazioni e insight sul proprio pubblico;
  • Sviluppare nuove fonti di guadagno per espositori e organizzatori;

 

Virtual Exhibition: ciò che offriamo

Una volta delineati gli obiettivi, abbiamo pensato a come soddisfarli con la nostra soluzione. La Neosperience Virtual Exhibition offre infatti:

  • Uno spazio dove realizzare speech e workshop: tramite uno strumento di streaming video, si possono organizzare incontri one-to-many, one-to-few e one-to-one.
  • Una feature di Matching basata sull’Intelligenza Artificiale per mettere in contatto le aziende partendo da una profilazione di interessi e qualità, esattamente come avviene nel mondo dei social network personali dove è possibile identificare utenti simili.
  • L’uso della Realtà Aumentata e Virtuale per dare “fisicità” ai contenuti che gli espositori decideranno di condividere, o per rendere più efficaci gli incontri e gli speech.
  • Una funzione di eCommerce all’interno della piattaforma per permettere agli espositori di vendere e proporre i propri prodotti al pubblico.

Il nostro obiettivo finale consiste nel rendere il tuo evento un esempio del buon uso del digitale nel settore. Così facendo la tua iniziativa diventerà naturalmente un polo attrattivo internazionale per il tuo settore merceologico.

Perché Neosperience e Value China

Le nostre due realtà hanno visioni e competenze uniche in Italia.

Siamo in grado di aiutare la tua azienda a estrarre il massimo del valore dal tuo posizionamento, realizzando l’evento virtuale che meglio si addice alle tue necessità.

Oltre a ciò, aiuteremo la tua realtà a espandere il proprio mercato. Ti permetteremo di raggiungere tutti i paesi asiatici e dell’area pacifica, e i loro pubblici interessati a ciò che produci o realizzi.

Grazie alla nostra soluzione ready-to-use, insieme saremo in grado di realizzare il tuo evento virtuale, a capitalizzare su prodotti e competenze e a diffondere le tue unicità in tutto il mondo.

Sei interessato alla Neosperience Virtual Exhibition? Vuoi diventare un precursore degli eventi e fiere all-digital?

Ti mostreremo i benefici pratici nell’adottare la nostra soluzione.

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La tecnologia migliora la qualità della vita?

tecnologia e qualità della vita

La tecnologia migliora la qualità della vita? Esiste una correlazione tra felicità e tecnologia? Se sì, perché le persone soffrono di depressione oggi più che in passato? Perché i tassi di suicidi nei paesi sviluppati hanno raggiunto livelli così drammatici? Esiste una buona e cattiva tecnologia?

Luminari in ogni campo stanno cercando delle risposte, ma la strada è in salita. La tecnologia influenza il lavoro, lo studio, la salute, la socialità e molte altre cose; è quindi difficile giungere a una risposta definitiva. 

Sebbene probabilmente l’argomento sia più grande delle nostre reali capacità interpretative, vorremmo fornirvi un nostro punto di vista sulla questione. 

 

Il significato di qualità della vita

Innanzitutto il concetto di qualità della vita è da considerarsi empirico; sebbene la maggior parte dei fattori che ne definiscono il valore siano scientifici, il risultato è naturalmente impreciso, perché inerente al percepito delle persone. Qual’è il reale collegamento tra il Pil di un paese e la felicità dei suoi cittadini? Nessuno lo sa, eppure questo è un parametro che viene preso in considerazione. 

Ogni anno viene stilata una classifica globale fra i paesi che offrono la qualità della vita migliore. I fattori che vengono presi in considerazione sono innumerevoli, e spaziano dalla salute, al crimine, al reddito, all’istruzione, all’inquinamento e così via.

Sebbene - come detto sopra - la definizione di qualità della vita sia di per sé parziale e di scarso valore scientifico, può essere comunque una cartina tornasole abbastanza precisa sul sentimento generalizzato delle persone

 

Il rapporto fra qualità della vita e tecnologia

technology

 

Detto ciò, quale ruolo gioca lo sviluppo tecnologico nel definire la qualità della vita delle persone? 

In primis va sottolineato che fra i fattori che concorrono a una migliore qualità della vità, presi in considerazione dagli enti di ricerca, non sono presenti elementi inerenti allo sviluppo tecnologico del paese o dei suoi cittadini. Se andiamo però a vedere quali sono i paesi che si sono posizionati meglio nella classifica sulla qualità della vita, ecco che questi si rivelano essere anche i più tecnologici. 

Cosa intendiamo per “più tecnologici”? Quattro sono i parametri presi in considerazioni dalle ricerche sul tema: utenti internet, smartphone e disponibilità di connessione internet veloce in percentuale alla popolazione, e il Digital Competitiveness score, sviluppato dalla IMD World Competitiveness Center. Tale metrica si concentra su: conoscenza tecnologica, prontezza nello sviluppare nuove tecnologie e sull’abilità di studiare e mettere in pratica le ultime innovazioni.  

Canada, Giappone, Paesi Scandinavi, Danimarca, Svizzera, Germania sono solo alcuni dei paesi al top sia per innovazione tecnologica sia per qualità della vita. Ci sono però paesi che invece non seguono la stessa logica, come Cina, USA, Taiwan e Corea del Sud, che vantano un’ottima innovazione tecnologica ma una qualità della vita inferiore. 

Diciamo quindi che c’è una tendenza, ma non è automatica. Che cosa fa sì che certi paesi siano tecnologici e “felici”, e altri no? 

La tecnologia rende le persone felici?

Sadness

Innanzitutto va specificato che la tecnologia può migliorare la qualità della vita sotto numerosi punti di vista. Può offrire nuovi posti di lavoro, permettere lo smart working e una maggiore libertà, diminuire l’inquinamento, semplificare la burocrazia, mettere in contatto persone lontane, migliorare il servizio sanitario e così via. 

La tecnologia, come qualsiasi altra cosa, è però un’arma a doppio taglio. Questa può anche alienare le persone, far crescere l’odio, spargere fake news, far perdere posti di lavoro o diventare uno strumento che limita la libertà personale. 

 

Qual è il discriminante fra buona e cattiva tecnologia?

Per distinguere fra buona e cattiva tecnologia, innanzitutto, è necessario considerare la cultura di chi la usa o sviluppa. È anche importante che lo stato, con le sue norme e gli investimenti mirati all’innovazione, faccia da garante al buon uso della tecnologia.

Per esempio se i cittadini di un dato paese sono più tolleranti, allora ci sarà anche meno odio online. Se la ricchezza è meglio distribuita, e quindi molti possono utilizzare gli stessi strumenti, allora ci sarà meno conflitto sociale. Allo stesso tempo, se l’educazione digitale sarà più diffusa - per esempio per iniziativa degli stati stessi - allora la tecnologia sarà inclusiva e non divisiva. Se lo stato permetterà ai giovani di portare avanti le proprie idee, per esempio sostenendo la creazione di start up, allora si creerà lavoro e innovazione. 

Al contrario, se un governo non aiuta i giovani, saranno i privati a guadagnarci inglobando idee e monopolizzando il mercato. Se un paese non investirà nell’educazione digitale dei propri cittadini, questi si sentiranno abbandonati e fuori dal proprio tempo. Se i cittadini sono in conflitto fra loro, questo si rifletterà anche sulla tecnologia.

 

Conclusioni

In definitiva, la tecnologia è uno strumento, e come tale assume un ruolo in base a chi lo utilizza. A seconda dell’uso e del contesto può essere un discriminante positivo o negativo.

Lo sviluppo tecnologico di una nazione non porta naturalmente a una migliore qualità della vità. Porta solo a un’amplificazione della situazione in cui il paese versa

Immaginiamo di vivere in un paese intollerante riguardo alla diversità. La tecnologia in questo caso avrà un effetto negativo sulla vita dei suoi cittadini perché amplificherà discriminazioni e violenze. L’odio online si può definire come una delle maggiori piaghe del ventunesimo secolo e porta tante, troppe persone a soffrire. 

Se invece la popolazione è generalmente tollerante, la diffusione di immagini di stili di vita differenti porterà a una maggiore condivisione degli stessi, dando loro una “nuova normalità”. Questo discorso si può fare per qualsiasi altro fattore che può essere influenzato dalla tecnologia. 

Quando si parla di qualità della vita, tutto è collegato. L’intolleranza è causa di conflitto sociale e di mancanza di sicurezza, e spesso deriva da scarse prospettive per il futuro e da problemi nell’educazione e nell’istruzione. Per questo motivo la tecnologia è sì un discriminante riguardo la qualità della vita, ma solo in senso lato: non cambia la situazione, ma può aiutare a migliorarla rapidamente. 

Solo i paesi più illuminati fanno della tecnologia uno strumento per l’empowerment umano. 

Le nazioni e i popoli che vivono in situazioni difficili, invece, se non riescono a controllare e a guidare la tecnologia e l’uso che ne viene fatto, rischiano di peggiorare la loro già precaria situazione. 

Per sintetizzare la tecnologia è in grado di migliorare la qualità della vita delle persone, ma solo se

  • Questa è già alta
  • Lo stato si prende in carico il controllo dell’uso della tecnologia con norme e iniziative imprenditoriali
  • I cittadini sono educati alla tecnologia stessa

La parola chiave è responsabilizzazione. Senza una presa di coscienza collettiva si è destinati al caos, e il caos porta sempre a un peggioramento della qualità della vita. Non si può essere assolutisti quando si parla di una strumento e dei suoi effetti: la tecnologia non fa eccezione.

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Gender intelligenze artificiali

Dallo scorso novembre fino al prossimo 6 giugno, al Futures Festival organizzato dallo Smithsonian Institute, evento in cui è possibile ammirare le innovazioni che sono destinate a cambiare il mondo, possiamo ascoltare una voce molto speciale: Q.

Introdotta nel 2019 come prima voce virtuale senza genere, Q è stata creata per essere utilizzata dai virtual assistant al fine di suscitare un dibattito sul gender nell'Intelligenza Artificialie

Infatti, come afferma Ryan Sherman, uno dei co-creatori del progetto: "Q è stato ideata per avviare una conversazione tra gli addetti ai lavori e il pubblico sul motivo per cui la tecnologia dell'Intelligenza Artificiale - di natura senza genere - sia stata genderizzata". Per progettare Q un team di linguisti, ingegneri del suono e creativi ha collaborato con individui non binari campionandone le voci, per arrivare a creare una gamma sonora unica né femminile, né maschile.

Il gender nell'Intelligenza Artificiale favorisce stereotipi e discriminazioni?

Quando Q era stata annunciata diversi anni fa, è stata salutata come "la voce digitale senza genere di cui il mondo ha bisogno in questo momento", riconoscendo il potenziale danno che i virtual assistant di oggi, nel loro essere per antonomasia femminili, perpetuano nel proporre stereotipi misogini, rappresentando le donne come esecutrici prive di autonomia decisionale.

Il progetto Q ha ottenuto evidenza e riconoscimento in un rapporto delle Nazioni Unite sulle divisioni di genere nelle competenze digitali. "Quasi tutti gli assistenti sono stati femminilizzati nel nome, nella voce, nei modelli e nella personalità." si può leggere in questo rapporto intitolato Arrossirei Se Potessi, ovvero la risposta che Siri originariamente forniva agli utenti che la apostrofano con epiteti volgari o sessisti.

Il contesto odierno: come sta cambiando il rapporto con gli assistenti virtuali

Oggi la situazione sta fortunatamente cambiando: all'inizio del 2020 Apple ha eliminato l’opzione predefinita "femminile" per Siri, e permette ora di scegliere una voce maschile tra un insieme di voci denominate 1, 2, 3 e 4 (in Italia sono 1 e 2). Solo a fine febbraio 2022 Apple ha aggiunto un ulteriore voce, la numero 5: questa, ha affermato l'azienda, è stata registrata da un membro della comunità LGBTQ+ e suona molto più gender-neutral. Teniamo presente, ovviamente, che questo genere di aggiornamenti molto spesso non sono distribuiti allo stesso modo e contemporaneamente in tutto il mondo, quindi di fatto anche oggi lo scenario è differente da Paese a Paese.

Ma per superare gli stereotipi di genere occorre fare ben di più che aggiungere semplicemente un timbro vocale maschile o neutro. Infatti, anche l'idea di una voce "senza genere" rivela alcune delle idee sbagliate che ancora affrontiamo quando pensiamo a modi per evitare di rafforzare gli stereotipi stessi.

Tornando a Q, ad esempio, il suo utilizzo potrebbe rafforzare lo stereotipo che individui non binari non siano né uomini né donne, ma “qualcosa nel mezzo” anziché “al di fuori di esso”. Non si tratta infatti di lottare per la "neutralità" quanto più che altro iniziare ad affrontare ragionamenti ben più profondi, che passano dalle radici stesse della costruzione della relazione tra esseri umani e digitali

Un passo in avanti in questa direzione è stato fatto da Yolande Strengers, professore associato presso la Monash University e coautore, con Jenny Kennedy, di The Smart Wife: Why Siri and Alexa Need a Feminist Reboot.

In questo testo gli autori affermano di non pensare che la soluzione sia rimuovere del tutto il genere dall'equazione dell'Intelligenza Artificiale, perché "questo semplifica eccessivamente il modo in cui questi dispositivi trattano il genere, che non riguarda solo la voce, ma anche il tipo di cose che dicono, la loro personalità, la loro forma e il loro scopo".

Queering: una soluzione possibile al problema

Quindi Y.Strangers e J.Kennedy propongono di “queerizzare la moglie intelligente”. Cosa significa?
Queering the smart wife significa offrire agli assistenti virtuali diverse personalità che rappresentino in modo più accurato le molte versioni della femminilità e della mascolinità che esistono in tutto il mondo, in contrapposizione alla personalità piacevole e servile che molte aziende hanno scelto di adottare per i propri assistenti.

Gender intelligenze artificiali

Un esempio potrebbe essere Jibo, un robot introdotto nel 2017 che utilizza pronomi maschili ed è stato commercializzato come robot sociale per la casa. Jibo è caratterizzato da una mascolinità "dolce ed effeminata": ad esempio, Jibo risponde alle domande in modo educato, con uno sguardo civettuolo, e spesso ruota e si avvicina alle persone in modo stravagante.

Queerizzare gli assistenti virtuali può anche significare combattere gli stereotipi con ironia. È il caso di Eno, il bot della banca Capital One, lanciato nel 2019 che, se viene interrogato sul suo genere, risponde scherzosamente: "Sono binario. Non voglio dire che sono entrambe le cose, voglio dire che in realtà sono solo uno e zero".

“Un bot è un bot è un bot”: fornire un gender specifico all'Intelligenza Artificiale

Un altro approccio, forse più coraggioso, è quello di Kai, un chatbot di banking online sviluppato da Kasisto, un'organizzazione che costruisce software di Intelligenza Artificiale per l'online banking. Kai abbandona del tutto le caratteristiche umane, e assume piuttosto un'identità specifica del robot. 

Quando gli viene chiesto se è una persona reale, Kai risponde: "Un bot è un bot è un bot. Prossima domanda, per favore", indicando così agli utenti la sua non umanità, neanche pretesa, dato anche il no-sense della risposta in sé.

Anche per questo Jacqueline Feldman - la creatrice del bot - ha affermato di aver progettato Kai affinché fosse in grado di deviare e fermare le molestie. Ad esempio, se un utente molesta ripetutamente il bot, questo risponde con una frase, del tipo, "Sto immaginando sabbia bianca e un'amaca, per favore prova più tardi!".

Questo esempio solleva poi un altro problema dei bot umanizzati. Secondo la Feldman, quando le aziende che progettano bot li rendono troppo umani, rendendo agli utenti difficile comprendere se si sta parlando con una macchina o una persona, si viene a creare un punto di attrito con le esperienze spesso frustranti che i bot stessi offrono. In poche parole, se si sta pensando di star parlando con un umano, e l’esperienza non è all’altezza, si genera inevitabilmente una reazione negativa nell’utente.

Gender intelligenze artificiali Google Duplex

Un caso a questo riguardo è quello riguardante Google Duplex, una tecnologia ora integrata in Google Assistant, che imita straordinariamente la voce umana per eseguire attività come effettuare prenotazioni di ristoranti o fissare un appuntamento per ottenere un taglio di capelli. 

Questa tecnologia è stata spesso definita fuorviante per l’utente: per questo nel 2019 la California è diventata il primo stato a richiedere ai bot di identificarsi come tali e, sebbene la legge sia stata descritta come imperfetta, si può certamente definire come primo passo di un nuovo percorso nell’ambito delle norme che regolano le relazioni comunicative. 

Conclusioni

Per ridefinire il futuro del rapporto tra assistenti digitali e esseri umani, le aziende e la società devono essere disposti ad affrontare riflessioni profonde, con impatti significativi in vari ambiti lavorativi e privati. 

Riflessioni che anche noi di Neosperience stiamo portando avanti riguardo all'identità del nostro assistente virtuale, Sofia. Sebbene abbia un nome femminile, nello sceglierlo siamo stati guidati dalla volontà di rimandare alla Σοφία, la saggezza, nella sua accezione antica, che deriva dall’aggettivo saphés (“chiaro”, “manifesto”, “evidente”, “vero”). Sofia la saggia e la vera, quindi.  

Sofia inoltre è completamente personalizzabile, nell’aspetto e nella personalità. Può assumere qualsiasi genere e stile comunicativo, a seconda dei desideri e delle necessità di utenti e clienti. Inoltre, sebbene l’avatar virtuale sia estremamente convincente, la voce è resa volutamente più meccanica rispetto ad altri assistenti virtuali, per non rischiare di ingannare l’interlocutore sulla reale natura di Sofia.

Ma il nostro intento è quello di continuare ad evolvere Sofia, affinché sia adatto a essere utilizzato da tutti sempre, senza mettere in difficoltà o creare un danno alla sensibilità delle persone. 

Solo grazie all’eterogeneità e all’approccio di realtà che si occupano di sviluppare un'Intelligenza Artificiale evoluta saremo in grado di portare avanti sviluppi digitali davvero inclusivi, a partire da una corretta rappresentazione del gender.  

Il progresso giunge solo dall’accettazione e valorizzazione delle differenze, e il campo tecnologico non fa eccezione. 

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Tutto sugli NFT: passato e presente, limiti e potenzialità

nft non fungible token 3d model

In questo articolo vogliamo tirare le fila sulla nuova buzzword del momento: gli NFT

Nati ormai quasi un decennio fa come naturale sviluppo della blockchain, negli due anni gli NFT hanno visto un boom sia di mercato, sia mediatico. 

Molte cose sono state dette su questa tecnologia, sia in maniera entusiasta che critica, e spesso in modo non troppo oggettivo. Oggi cercheremo di definire il reale ruolo degli NFT nella nostra vita di tutti i giorni, soprattutto per ciò che riguarda il nostro domani. Prima però di ritrovarci in una lunga discussione su quali sono le ragioni della nascita degli NFT, e su quali prospettive future dobbiamo aspettarci, partiamo dalle basi. 

Ti ricordiamo inoltre che se vuoi saperne di più sugli NFT puoi riguardare l'evento NFT-Commerce - Estrai il valore nascosto nel fashion, nell'arte, nel gaming che si è tenuto il 30 novembre, e in cui sono intervenuti Dario Melpignano, CEO di Neosperience, e Marco Pagani, CEO di Wizkey. Puoi riguardare la registrazione a questo link o cliccando qui sotto!

NFT: ISCRIVITI ALL'EVENTO

 

Che cosa è un NFT? 

È un acronimo che sta per “Non-Fungible Token”. Cosa vuol dire? Rispetto ai beni fungibili, come le banconote (che possono essere scambiate con altre banconote dello stesso valore), i beni non fungibili indicano che tali beni non sono replicabili e sostituibili, perché possiedono una specifica individualità

nft 3d model pattern

Tale individualità è data da una marca digitale, dotata di un certificato di autenticità e unicità. Tale certificato è rilasciato grazie alla tecnologia blockchain. Gli NFT sono quindi associati a un contenuto digitale, di cui garantiscono i caratteri di unicità e autenticità, conferendo al proprietario un certificato della genuinità del prodotto digitale in oggetto e di proprietà del NFT. Ogni NFT, grazie alla blockchain, è un pezzo unico e perciò non è fungibile, ovvero non intercambiabile. 

Ci sono dei limiti nella creazione di NFT? Non particolari: qualsiasi cosa che sia memorizzata su un supporto digitale può essere trasformata in NFT, a patto che se ne abbiano i diritti d’uso (se lo scopo è poi venderlo). 

 

Come funzionano gli NFT oggi 

Oggi gli NFT sono una tendenza di investimento che muove miliardi e miliardi di dollari. Una moda che, tra alti e bassi, è destinata a diventare parte integrante delle nostre vite, anche se probabilmente con risvolti diversi rispetto alla speculazione attuale. Basti pensare ai prezzi a cui numerosi NFT sono stati venduti: Everydays: The First 5000 Days, Crypto Punks e Bored Ape Yacht Club, rispettivamente a 69 milioni, 1 miliardo e 542 milioni di dollari. 

everyday: the first 5000 days nft by beeple

Molti hanno gridato allo scandalo quando queste cifre sono state rese pubbliche, e molti hanno risposto difendendo la tecnologia degli NFT. Per esempio un investitore di NFT di nome Matt McNally ha ricordato agli scettici - qualche settimana fa - che molti dei beni acquistabili oggi sono - in fin dei conti - molti simili agli NFT: "Certo, puoi dire che spendere soldi per acquistare un certificato che dice che possiedi un'immagine facilmente copiabile è ridicolo, ma è qui che ti ricordo che puoi dire circa la stessa cosa sul 99% di tutto il resto ", ha detto McNally

"Gli NFT possono essere in buona parte speculazione, ma cosa non lo è? Potrei aver buttato via migliaia di dollari comprando NFT, ma tu magari stai buttando via migliaia di dollari giocando in borsa, o comprando biglietti della lotteria, o comprando prodotti che non ti servono”.

NFT e bisogni inespressi

In generale, quando un mercato attira così tanto denaro, il significato è uno solo: ci sono bisogni che non sono ancora soddisfatti, e che trovano sfogo - in questo caso - grazie agli NFT. 

E quali sono questi bisogni? In primis dare valore a ciò che prima non ne aveva alcuno: l’arte digitale e i diritti dei creator su di essa. In secondo luogo, il bisogno di “riconoscimento” (sociale, economico) delle persone anche negli spazi digitali (e grazie agli asset digitali), al momento non soddisfatto. 

Il boom degli NFT si può imputare anche al COVID-19, che ha spinto molte persone a vivere il digitale in modo diverso: una seconda vita. Inoltre molti artisti, performer e musicisti - tra le categorie più colpite dalla pandemia - si sono trovati nella situazione di reinventarsi, trovando negli NFT un modo di guadagnare dal proprio lavoro anche da remoto. 

Parlando di dati più recenti, nel 2022, in particolare nel primo semestre dell'anno, il mercato degli NFT (dopo il blocco improvviso del 2021) è ripartito: infatti sono stati spesi circa $37B, ed è ormai quasi certo che il mercato supererà il totale di $40B investiti nel 2021. 

 

I metaversi

Quindi, una cosa che sicuramente non si può dire sugli NFT è che siano nati senza un obiettivo. Una domanda però sorge spontanea: l’obiettivo è stato raggiunto? Dipende, soprattutto dal campo applicativo. Per esempio uno dei limiti degli NFT è che molte persone si chiedono: “Qual è la loro utilità pratica? In che modo posso farne uso?”. Una domanda a cui si può rispondere - solo parzialmente - dicendo che sono investimenti finanziari.

Ma questa situazione sta cambiando grazie alla nascita dei metaversi, dove gli utenti possono usare e mettere in mostra i propri NFT. Il lancio di un proprio metaverso da parte di Facebook è un chiaro segnale che ormai la strada verso mondi virtuali in cui poter utilizzare i propri NFT è spianata. 

Ma che cosa è un metaverso? La definizione canonica è: uno spazio tridimensionale all'interno del quale persone fisiche possono muoversi, condividere e interagire attraverso avatar personalizzati. In verità non ne esiste una definizione univoca, ma indica genericamente un luogo virtuale dove si può frequentare altra gente, interagire, investire e creare il proprio personaggio a immagine e somiglianza di ciò che si vuole essere. 

Oggi ne esistono circa una decina (a seconda di quale definizione di metaverso si voglia utilizzare).

Vediamone alcuni esempi. 

Un esempio di metaverso affermato è quello del gioco Roblox. Oggi il sistema è integrato anche con determinati NFT, attraverso i quali gli utenti possono personalizzare i propri personaggi. 

Un esempio di iniziativa NFT è quella realizzata da Gucci, che ha cercato di raggiungere nuovi consumatori proprio all'interno di questo metaverso creando una “Gucci Collection” esclusiva di NFT, che include borse, occhiali e cappelli che possono essere utilizzati dagli avatar degli utenti all’interno del gioco.

decentraland with nft

Un altro metaverso ormai affermato è quello di Decentraland. Un esempio di iniziativa con NFT in questo mondo virtuale è quello di Coca-Cola, che ha lanciato abbigliamento virtuale di marca come NFT, ospitando persino un Rooftop Party sulla piattaforma per celebrare il lancio. 

 

I vantaggi degli NFT: perché crearli e venderli?

Per i brand e i creator, gli NFT sono una manna dal cielo, se così si può dire.

Tutto un nuovo mercato miliardario nato dal nulla negli ultimi anni: le possibilità di guadagno sono praticamente illimitate, e i costi per le aziende e i privati sono minimi. 

I campi applicativi sono ugualmente infiniti: tutto può essere venduto come NFT, è sufficiente creare una copia digitale di ciò che si vuole vendere e il gioco è fatto. Si possono tokenizzare singoli prodotti o opere d’arte digitali, o creare collezioni di migliaia di oggetti

nft david di donatello

Inoltre gli NFT inglobano tutti i classici vantaggi della blockchain, ovvero decentralizzazione, disintermediazione, immutabilità del registro, tracciabilità e verificabilità dei suoi contenuti, spostamenti e trasferimenti. 

Un’altro vantaggio è la possibilità di guadagnare anche dalle vendite di secondo, terzo, quarto, etc. livello: in poche parole, ogni volta che il tuo NFT viene rivenduto a terzi, vieni ripagato per i tuoi diritti. Il tutto grazie al fatto che sulla blockchain ogni trasferimento di proprietà è tracciabile. Un revenue stream continuo, e illimitato nel tempo. 

 

I limiti degli NFT

Veniamo ora a parlare di quali sono le problematiche - oltre al loro uso, che abbiamo trattato prima - che oggi rischiano di minare il successo degli NFT. Cominciamo dal problema dei diritti d’uso e di vendita

Copyright

È notizia di poco tempo fa che Quentin Tarantino - il noto regista cinematografico - ha annunciato la sua incursione nel mondo dell'arte NFT attraverso la creazione di sette copie digitali scansionate dei suoi script originali, scritti a mano con commento audio, legati alla sceneggiatura del film Pulp Fiction. Il problema è - in questo caso - che la casa di produzione del film, la Miramax, ha deciso di mandare una lettera di diffida al regista, affermando di possedere e di non voler concedere i diritti sui materiali del film, quando in verità la sceneggiatura è di proprietà del regista. 

pulp fiction quentin tarantino nft

Vediamo un altro caso: la modella e attrice Emily Ratajkowski ha venduto pochi mesi fa un NFT che rappresenta un'immagine composita, che mostra una fotografia di se stessa davanti a una stampa di un'altra artista che contiene una foto (di se stessa) scattata (presumibilmente) da un'altra artista. Un bel guazzabuglio, ma in fondo l’obiettivo di quest’opera è proprio quello di riflettere sul diritto d’autore nel mondo dell’arte digitale. 

In generale, gli NFT permettono in potenza agli artisti di recuperare i diritti sulle proprie opere, come detto prima fornendo royalties anche per le successive vendite dello stesso oggetto: però allo stesso tempo gli NFT - se così si può dire - non sono nient'altro che link che puntano a diverse URL, e possono essere qualsiasi cosa. Possono essere una sceneggiatura, o una foto, o un modello 3D, o una canzone, e così via. Il medium è unico, ma l’output è diverso. Gli NFT sono una delle risposte al problema del diritto d’autore, non LA risposta. 

È necessario quindi un passo in avanti anche a livello legislativo, che tenga in considerazione strumenti come gli NFT e trovi finalmente un modo efficace per proteggere l’arte digitale. 

 

Una moda che guarda poco alla qualità...

Un altro “problema” legato al settore, che rischia peraltro di minarne il successo, è la proliferazione di NFT di scarsissima qualità: siccome chiunque può creare NFT - con un minimo di conoscenza tecnica - la forte crescita del mercato ha incentivato una generalizzata scarsa qualità degli oggetti in vendita che però - e bisogna dirlo - vengono spessi comprati ugualmente. 

Prendiamo ad esempio una collezione di 10.000 NFT che ha avuto un certo successo: i Neopet

neopet sad animals nft

Sono animaletti, reali e mitologici, che l’utente è spinto a collezionare per poi utilizzarli in un metaverso dedicato.

Ebbene, la qualità realizzativa dei modelli degli animaletti - venduti a circa 500$ l’uno - lascia molto a desiderare. Orecchie che passano attraverso cappelli, occhiali che posano sulla bocca degli animali, vestiti che eliminano in tronco le zampe anteriori, e chi più ne ha, più ne metta. 

Come si può ben capire, un’operazione del genere non ha alcun interesse nell’NFT in sé, ma più all’investimento economico che c’è dietro. È la criptovaluta che interessa e vale, e il fatto che ci sia qualcosa "attaccato" - ovvero l’NFT - poco importa, è un di più. 

Se questo è il contesto, allora comprare NFT equivale a comprare criptovalute. 

La nostra convinzione è che questo comportamento sia dato solo dalla fase iniziale in cui si trova questa tecnologia: gente poco esperta può facilmente farsi prendere la mano e fare investimenti sbagliati. Con il tempo, la qualità si stabilizzerà verso parametri più affini ad un mercato maturo. 

 

Digitale e immortale: due parole che non vanno a braccetto

Quando si parla di NFT bisogna tenere presente che esistono anche alcune criticità tecniche strutturali, alcune proprie delle blockchain, alcune specifiche. Gli NFT, come abbiamo visto nel primo capitolo, sono in fin dei conti degli smart contract messi su una blockchain che rimandano con un link all’oggetto digitale di cui si è proprietari. 

3d model mirrors nft

Ma cosa succede se la blockchain di riferimento smette di essere una blockchain, o semplicemente smette di esistere? E cosa succede quando i contenuti che vengono linkati da uno smart contract cessano - perché scaduti o obsoleti - di essere raggiungibili? 

Per esempio il marketplace di NFT Hic et Nunc, dopo più di $50 milioni di vendite e basato sulla blockchain Tezos, poche settimane fa è stato chiuso senza dare una spiegazione agli utenti. Niente di grave, anche perché nessuno è stato danneggiato e nessuno ha visto scomparire i propri NFT (dato che il marketplace ha l’unico compito di intermediare), ma ciò che è successo deve far suonare un campanello d’allarme agli appassionati. 

Ogni qual volta una nuova tecnologia si impone sul mercato, nuove società traballanti provano a cavalcare l’onda del successo senza averne gli strumenti, mettendo in pericolo ignari investitori e utenti. Per evitare di correre pericoli, l’unica strada è fidarsi dei maggiori player del mercato: in questo caso - per esempio - OpenSea e Ethereum

 

Gli NFT consumano tanta, tantissima energia (?)

Pochi mesi fa Jason Citron, CEO di Discord - una delle applicazioni di messaggistica più diffuse al mondo - ha fatto un annuncio che era certo avrebbe mandato in visibilio la fanbase: ha pubblicato su Twitter uno screenshot dell'app che mostra come presto Discord sarebbe stata integrata con MetaMask e WalletConnect, i più diffusi sistemi di acquisto di criptovalute e NFT. Purtroppo per lui, gli utenti non l’hanno presa benissimo. 

Riflettendo i sentimenti di molti, un utente ha risposto al tweet: "Non vedo l'ora di dire ai miei amici che Discord sta incoraggiando schemi piramidali a grande costo dell'ambiente. Grazie per l'avvertimento!" Citron alla fine ha ritrattato la sua dichiarazione, e ha detto che Discord non ha intenzione di integrare NFT e criptovalute al momento.

Questo ci insegna che gli NFT possono suscitare anche reazioni critiche, soprattutto se ci si rivolge a un pubblico che è sensibile ai temi ambientali. Infatti, è noto a molti l’impatto ambientale della tecnologia blockchain, che per esistere ha bisogno di enormi quantità di energia per tracciare e archiviare le informazioni sulle transazioni. 

wwf for animals protection with nft

Detto ciò, non è proprio vero che gli NFT sono un danno per il pianeta, anzi. In verità sono solo una piccolissima parte dell’energia consumata dalla blockchain, e peraltro spesso gli NFT vengono utilizzati da organizzazioni no-profit per recuperare fondi per la salvaguardia del pianeta. Per esempio anche il WWF vende i propri NFT per salvaguardare le specie a rischio estinzione...ricordati comunque che è sempre bene mitigare l’impatto ambientale della tua operazione, o utilizzando energia verde e rinnovabile per il mining, o ponendo proprio come scopo dell’iniziativa quello di recuperare fondi per finanziare la trasformazione energetica e la conservazione del pianeta per migliorare la tua brand reputation.

 

Troppo potere agli intermediari

Un limite degli NFT è anche quello degli intermediari. Infatti, un brand o un creator che desiderasse creare e mettere in vendita i propri NFT deve per forza di cosa rivolgersi a due entità terze: la blockchain, su cui minare il proprio token, e un marketplace, dove poterlo mettere in vendita.

Mentre rispetto alla blockchain c’è poco da fare, una soluzione per fare a meno dei marketplace terzi - che guadagnano grazie alle commissioni - esiste, ed è NFT-Commerce, la nostra piattaforma di digital commerce dedicata solo agli NFT. 

nft-commerce

Come funziona? È molto semplice: attraverso il nostro sistema, ti permetteremo di creare un collegamento diretto tra il tuo sito/app con la blockchain di riferimento, sia attraverso un wallet dedicato, sia direttamente con un gateway di pagamento attraverso carta di credito. L’utente quindi potrà direttamente comprare i tuoi NFT sulla tua property digitale, sia attraverso la propria criptovaluta, sia pagando con carta. 

Questo sistema permette sia di risparmiarsi le commissioni di terzi, sia di gestire l’esperienza di acquisto, e di recuperare i dati dei clienti. 

Scrivici per saperne di più

 

Conclusioni: perché vendere NFT ti fa guadagnare

Gli NFT sono il futuro - è innegabile - perché rispondono a bisogni che per lungo tempo sono stati disattesi da parte delle istituzioni e delle aziende. Cominciare da subito ad esplorare questo mondo può portare guadagni rilevanti, e offre un vantaggio competitivo sulle aziende concorrenti. 

Importante è tenere in considerazione i vantaggi ma anche le sfide che pone una nuova tecnologia, e non cadere nella trappola della superficialità quando ci si approccia agli NFT. Per questo è essenziale chiedere supporto a chi già vive e lavora nel mondo della blockchain. Perché quando si presenta un nuovo mercato, affidarsi a chi è riuscito già a creare expertise è fondamentale.

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Parlare con i conversational agent rende i bambini maleducati?

i conversational agent e i loro effetti sui bambini

Gli agenti virtuali possono diventare una risorsa importante nella nostra vita, in grado di aiutare le persone nel portare a termine i compiti più ripetitivi e liberare tempo per le attività human to human più ricche di valore. Al tal fine abbiamo lanciato sul mercato il nostro primo virtual agent, Sofia.

Per questo motivo, quando ci siamo imbattuti nella notizia che l’Università di Washington aveva realizzato una ricerca su come i conversational agent influiscono sulla crescita dei bambini, il nostro primo pensiero è stato quello di dedicarvi un approfondimento. 

Se infatti il nostro obiettivo come azienda è quello di portare l’empatia nella tecnologia, non possiamo permetterci di ignorare i rischi e i pericoli che la tecnologia può rappresentare.

Ma andiamo al dunque; quali sono i risultati della ricerca dell'Università di Washington, che si è posta la domanda: “Parlare con i “robot” rende i bambini maleducati?”

 

La ricerca: i conversational agent e i bambini

Parlare con i “robot” - anche se magari non ce ne rendiamo conto - fa ormai parte della vita quotidiana di molte famiglie, il tutto grazie alla grandissima diffusione di conversational agent come Siri di Apple o Alexa di Amazon. 

Recenti ricerche hanno dimostrato che i bambini sono felici di relazionarsi con i propri compagni di giochi artificiali, che - infatti - sono stati sviluppati e utilizzati anche a fini ludici ed educativi

La domanda però che si sono posti i ricercatori è un’altra: parlare con Alexa o Siri influenza il modo in cui i bambini comunicano con gli altri esseri umani? È possibile che comincino a trattare familiari, amici e sconosciuti come robot di servizio? 

Probabilmente no, secondo lo studio condotto dall'Università di Washington.

"Eravamo curiosi di sapere se i bambini stavano prendendo l’abitudine di conversare con gli umani come fanno con Alexa e altri agenti conversazionali", ha detto Alexis Hiniker, assistente professore dell’Università di Washington. 

I ricercatori hanno reclutato 22 famiglie della zona di Seattle per partecipare a uno studio in cinque parti. Nella prima parte, i bambini dovevano parlare con un robot animato che veniva mostrato sullo schermo di un tablet.

Sul retro della sala, nascosto, un ricercatore faceva domande a ogni bambino, che l'app attraverso il robot traduceva in una voce sintetica. All'inizio, quando i bambini parlavano con il robot sul tablet, questo diceva loro: "A volte comincio a parlare molto lentamente. Puoi dire "bungo" per ricordarmi di parlare di nuovo normalmente."

Dopo alcuni minuti di chiacchierata con il bambino, l'app rallentava periodicamente il discorso del robot fino a quando il bambino non avesse detto "bungo." Quando ciò avveniva il ricercatore premeva un pulsante per riportare immediatamente il discorso del robot alla velocità normale. 

La maggior parte dei bambini, il 64%, si è ricordata di usare il bungo la prima volta che l'agente ha rallentato il suo discorso, e tutti hanno imparato la routine alla fine di questa sessione.

Poi i bambini sono stati presentati a un agente conversazionale vero e proprio. Anche questo dispositivo - sempre collegato via voce al ricercatore nell’altra stanza - ha iniziato a parlare lentamente dopo una breve conversazione a velocità normale. Una volta che il bambino diceva "bungo" cinque volte, o lasciava che il robot continuasse a parlare lentamente per cinque minuti, il ricercatore concludeva la conversazione.

Alla fine di questa sessione, il 77% dei bambini aveva usato con successo bungo.

A questo punto, il bambino è stato lasciato solo con il genitore, che nel frattempo l’aveva raggiunto nella stanza. Una volta da solo, il genitore ha chiacchierato con il bambino e poi, come nei casi precedenti, ha iniziato a parlare lentamente. 

19 genitori hanno condotto questa parte dello studio. Dei bambini che hanno completato questa parte, il 68% ha usato “bungo” nella conversazione con i genitori. Molti di loro lo usavano con affetto. Alcuni bambini lo facevano con entusiasmo, spesso interrompendo il genitore a metà frase. Altri hanno espresso esitazione o frustrazione, chiedendo ai loro genitori perché si comportavano come robot.

Finita questa fase, un ricercatore entrava nella stanza e cominciava a parlare con il bambino: come negli altri casi, normalmente in un primo momento, e dopo lentamente. In questa situazione, solo il 18% dei 22 bambini ha usato “bungo” con il ricercatore. Nessuno di loro ha commentato il discorso del ricercatore.

"I bambini hanno mostrato una consapevolezza sociale davvero sofisticata", ha detto Hiniker. "Vedevano la conversazione con il robot come un luogo in cui era appropriato usare la parola bungo. Con i genitori, la vedevano come un'opportunità per legare e giocare. E poi con il ricercatore, che era uno sconosciuto, hanno invece preso la strada socialmente sicura di usare la più tradizionale norma di non interrompere qualcuno che sta parlando con te."

Dopo questa sessione in laboratorio, i ricercatori volevano sapere come sarebbe andato il “bungo” in natura, quindi hanno chiesto ai genitori di provare a rallentare il loro discorso nelle successive 24 ore.

Dei 20 genitori che hanno provato a casa, 11 hanno riferito che i bambini hanno continuato a usare “bungo”. Questi genitori hanno descritto le esperienze come giocose e divertenti: un inside joke, se così si può dire. I bambini che hanno espresso scetticismo in laboratorio hanno invece continuato a chiedere ai loro genitori di smettere di comportarsi come robot.

"C'è consapevolezza nei bambini che i robot non sono persone, e non volevano che la linea tra umano e artificiale si confondesse" ha detto Hiniker. "Invece per i bambini che usavano bungo con i genitori questa esperienza voleva dire qualcosa di nuovo. Non era come se stessero iniziando a trattare i loro genitori come robot. Stavano giocando con loro e connettendosi con qualcuno che amavano."

 

Conclusioni: i virtual agent per insegnare l'empatia

Sebbene questi risultati suggeriscano che i bambini non saranno influenzati dal rapportarsi con i virtual agent in commercio, è ancora possibile che le conversazioni con un conversational agent possano avere un effetto sulle abitudini dei bambini - come l'uso di un particolare tipo di linguaggio o tono di conversazione - quando parlano con altre persone.

D'altro canto questa ricerca ci insegna anche che i dispositivi conversazionali possono aiutare i bambini a consolidare alcune strutture comunicative e - in qualche modo - insegnare l'empatia

Come? Consideriamo l’empatia come una skill che si può affinare nel tempo, attraverso l’esercizio: in questo senso, metterla alla prova nel rapporto con i dispositivi tecnologici equivale a guardarsi allo specchio, come un campo di gioco grazie a cui i bambini possono comprendere la differenza tra umano e artificiale, ed esercitare la propria comprensione dei concetti di identità e umanità. 

Semplificando ancora, si può dire che la creazione di una contrapposizione tra reale e virtuale permetta al reale di risaltare: un po’ come succede quando, trovandoci in una situazione nuova e opposta alla nostra solita vita, finiamo per comprendere e vedere con occhi nuovi il nostro punto di partenza.

Questo può essere il ruolo quindi degli agenti conversazionali: far vedere l’umanità e ciò che ci rende unici sotto un nuovo punto vista. Questo è in linea con ciò che per noi significa “portare l’empatia nella tecnologia”, ovvero la reale ricchezza dell’innovazione

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IA che prevede il cambiamento climatico

Il cambiamento climatico è la grande sfida del ventunesimo secolo

Nel giro di pochi decenni - un’inezia rispetto al passato - il clima sulla terra rischia di diventare irriconoscibile. Quanto? Non lo sappiamo, perché oggi non siamo ancora in grado né di prevedere come sarà il mondo post cambiamento climatico, né sappiamo quali e quanti sono i punti di non ritorno in questa battaglia. 

In aiuto agli scienziati è però giunta una nuova applicazione dell’IA, in grado di funzionare da sistema di allarme precoce contro il cambiamento climatico, quando questi si avvicina - per l’appunto - a soglie da cui è impossibile tornare indietro.

 

L’algoritmo che prevede l’irreversibile

Chris Bauch, professore di matematica applicata presso l'Università di Waterloo, è co-autore di un recente articolo che riporta i risultati del nuovo algoritmo di deep learning che ha contribuito a sviluppare, e che è in grado di individuare le soglie oltre le quali avviene un cambiamento rapido o irreversibile in un sistema, in questo caso climatico.

"Abbiamo scoperto che il nuovo algoritmo è stato in grado non solo di prevedere i punti di svolta in modo più accurato rispetto agli approcci esistenti, ma anche di fornire informazioni su quale tipo di situazione è probabile si sviluppi oltre il punto di non ritorno", ha detto Bauch. 

Alcuni punti di svolta che sono spesso associati al cambiamento climatico includono lo scioglimento del permafrost artico, che potrebbe rilasciare grandi quantità di metano e stimolare un ulteriore cambiamento nell’atmosfera; la rottura delle correnti oceaniche, che potrebbe portare a cambiamenti quasi immediati nei modelli meteorologici; la disgregazione della calotta glaciale, che porterebbe a un rapido cambiamento del livello del mare.

L'approccio innovativo con questa IA, secondo i ricercatori, è che non è stata addestrata solo sulle tipologie note di punti di non ritorno in ambito climatico, ma sulle caratteristiche in sé dei punti di non ritorno. Dopo aver addestrato l'IA su un "universo di possibili punti di non ritorno", composto da circa 500.000 modelli diversi, i ricercatori lo hanno testato nel riconoscere specifici punti di non ritorno reali in vari sistemi, inclusi campioni storici del clima.

Timothy Lenton, direttore del Global Systems Institute dell'Università di Exeter e co-autore dello studio, ha dichiarato: "Il nostro metodo potrebbe mandare segnali di pericolo quando siamo vicini a un punto critico. Fornire un allarme tempestivo potrebbe aiutare le società ad adattarsi e ridurre la vulnerabilità ai cambiamenti che stanno arrivando, anche se non si possono evitare."

 

Predire i cambiamenti nei sistemi complessi: ci siamo vicini? 

Il deep learning sta facendo passi da gigante nel riconoscimento e nella classificazione dei modelli: il caso in questione è un esempio di quanto siamo arrivati lontano. Un algoritmo in grado di riconoscere i modelli che si verificano prima di un avvenimento, e quindi sapere se un punto di non ritorno sta arrivando, è ciò che ci avvicina a predire per la prima volta eventi complessi, sociali e naturali

"Le persone hanno familiarità con i punti di non ritorno nei sistemi climatici, ma ci sono punti di svolta anche in epidemiologia e nei mercati azionari", ha detto Thomas Bury, un ricercatore post-dottorato presso la McGill University e un altro dei co-autori. "Quello che abbiamo imparato è che l'IA è molto brava a rilevare le caratteristiche dei punti di non ritorno che sono comuni a un'ampia varietà di sistemi complessi."

Il nuovo algoritmo di deep learning è un "punto di svolta per la capacità di anticipare grandi cambiamenti, compresi quelli associati al cambiamento climatico", ha affermato Madhur Anand, un altro dei ricercatori del progetto e direttore del Guelph Institute for Environmental Research.

Ci stiamo quindi avvicinando a ciò che Isaac Asimov chiamava Psicostoria? Non lo sappiamo, però molti professionisti si domandano con sempre maggiore frequenza (e non è un caso che sia appena uscita la serie Foundation di AppleTv) se sarà possibile predire avvenimenti di massa grazie alle nuove tecnologie legate all’IA, e se sì con quale precisione e con quale approccio etico.   

La potenza di calcolo di cui oggi disponiamo, sostenuta dalla grandissima quantità di dati disponibili, infatti non potrà che aumentare esponenzialmente e risultare quindi determinante, anche grazie allo sviluppo dei computer quantistici.

 

Conclusioni: il cambiamento climatico è meno oscuro grazie all'IA

Ora che l’algoritmo ha imparato come funzionano i punti di non ritorno, il team sta lavorando alla fase successiva, che è quella di fornire i dati al sistema per permettergli di individuare le tendenze nel cambiamento climatico che si stanno sviluppando oggi. 

Si dice spesso che l’ignoranza sia pericolosa...grazie all’IA, oggi siamo un po’ meno ignoranti su cosa ci aspetta in futuro. Saremo in grado di reagire e cambiare come ci viene chiesto? Neanche l’IA più avanzata sul pianeta è in grado di rispondere a questa domanda, per ora.

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Cookieless: come sopravvivere alla fine dei cookie di terze parti?

cookie

Google ha appena annunciato che ha deciso di rimandare di quasi due anni, dal 2022 a fine 2023, l'eliminazione dei cookie di terze parti da Chrome. Una scelta dettata dalla necessità di testare con più calma le nuove tecnologie del Google Privacy Sandbox, e di instaurare un dialogo con le istituzioni regolatrici in materia di privacy.

Una boccata di ossigeno per gli addetti ai lavori, anche se la fine dei cookie di terze parti rimane una notizia difficile da digerire per le aziende dell’intero settore dei media, dagli editori ai brand, e per l’intera filiera dell'Internet Advertising.

Il rischio è una crisi del settore del Programmatic Advertising (ovvero la pubblicità online che utilizza i cookie di terze parti), che in Italia aveva chiuso il 2020 a 588 milioni di euro, in crescita del 6% rispetto al 2019.

Oggi - avendo un anno in più a disposizione - le prospettive si fanno un po' più rosee, anche se se sarà comunque necessario ripensare in fretta alle modalità attraverso cui funziona la pubblicità online se si vorrà continuare a crescere nello scenario cookieless

Ma da dove bisogna partire per trovare soluzioni alternative?

In questo approfondimento analizzeremo il contesto odierno e le soluzioni a disposizione degli addetti ai lavori per fare a meno dei cookie di terze parti. Parleremo del Google Privacy Sandbox e di altri strumenti terzi, e vedremo con quale spirito gli esperti guardano ai prossimi anni dell'Internet Advertising.

Cominciamo però dalle basi, dai nemici senza volto della privacy: i cookie di terze parti.

 

Cosa sono i cookie di terze parti?

cookie di terze parti

I cookie di terze parti sono una breve striscia di codice che viene inserita nel dispositivo dell’utente e vengono utilizzati dai domini che non sono il sito web (o dominio) che si sta visitando per scopi pubblicitari.  Sono collocati su un sito web attraverso uno script o un tag. Un cookie di terze parti è accessibile su qualsiasi sito web che abbia un accordo con il provider di adv proprietario del cookie stesso.

I cookie di terze parti sono di solito “persistent cookie”,  hanno una data di scadenza (Il cookie scaricato rimane attivo per diversi mesi sulla macchina dell’utente) e sono memorizzati sull’hard disk dell’utente. Sono utilizzati per tracciare nel tempo i comportamenti dell’utente e a conservare ad esempio alcune preferenze d’uso tra una sessione e l’altra.

Come funzionano?

Facciamo un esempio: un utente visita Amazon. Sfoglia un paio di articoli finché non decide di acquistare un paio di scarpe eleganti marroni. Le mette nel carrello ma finisce per cambiare idea. Successivamente - grazie ai cookie di terze parti - l’utente vedrà altri annunci riguardo le scarpe che stava per acquistare su altri siti o app, serviti sempre dallo stesso provider di adv. Anche se l'utente chiude il browser e termina la sessione, i dati di monitoraggio rimarranno comunque sul computer.

Perché i cookie di terze parti non sono visti di buon occhio?

La possibilità dei cookie di “seguire” il percorso di navigazione delle persone consente loro di associare specifici comportamenti agli utenti, profilandoli e classificandoli. Questo incide fortemente sulla riservatezza degli utenti sul web, e ha convinto numerosi paesi, in particolar modo quelli europei, a regolamentare l'utilizzo dei cookie. Oggi anche l’opinione pubblica è sempre più convinta di una necessaria regolamentazione dell’uso dei dati personali, che ha portato browser come Safari e Firefox (e anche Google dal 2023) a eliminare l’uso dei cookie di terze parti.

Esistono altri strumenti?

Per evitare la distruzione di un mercato che - nel mondo - vale miliardi e miliardi di euro, la stessa Google sta cercando di trovare soluzioni alternative all’uso dei cookie di terze parti, che siano però maggiormente rispettose della privacy degli utenti.

Nel 2020 - a tal proposito - Google ha annunciato il Google Privacy Sandbox, un programma che si pone l’obiettivo di “Creare un ecosistema web fiorente che sia rispettoso degli utenti e privato per impostazione predefinita” attraverso l’uso di nuove tecnologie di tracking, utilizzando API,  che rispettino l’anonimato dell’utente.

Interessante è notare che già esistono alcune tecnologie utili allo scopo, come fingerprinting, cache inspection, link decoration, network tracking e PII (Personally Identifying Information), ma che Google si propone di “combattere aggressivamente” tanto quanto i cookie di terze parti, probabilmente più per la volontà di mantenere il controllo sulle tecnologie utilizzabili che per reali rischi di privacy (sono infatti metodi di tracking già utilizzati parzialmente, ma comunque molto meno efficaci dei cookie di terze parti).

cookie di terze parti

Detto ciò, e considerando che comunque la parola di Google è “legge” siccome la maggior parte degli utenti utilizza il suo ecosistema, vediamo quali sono le diverse tecnologie proposte dal colosso di Mountain View nel Google Privacy Sandbox, che è attualmente un insieme di proposte per diverse API che, se implementate insieme, forniranno funzionalità di navigazione anonime e di targeting comportamentale.

In particolare ci concentreremo ad illustrare come funzionano:

  • Trust Tokens API: per combattere spam e frodi;
  • FLoC: per il targeting basato sugli interessi degli utenti;
  • Gruppi di Interessi Privati (TURTLE-DOV): per il remarketing.

E infine l’utilizzo dei dati di prima parte per il targeting pubblicitario sui siti proprietari.

 

Trust Tokens

Trust Token

In poche parole Trust Tokens è una nuova API che aiuta i brand e le agenzia media a combattere le frodi e distinguere i bot dagli esseri umani, senza tracciamento passivo (quindi nel rispetto della privacy).

Come funzionano i Trust Tokens?

Questi consentono a una sorgente (immaginiamo un sito internet) di rilasciare token crittografati (quindi immodificabili) a un utente considerato attendibile. I token vengono quindi memorizzati dal browser dell'utente. Il browser può quindi utilizzare i token in altri contesti (su altri siti internet) per valutare l'autenticità dell'utente.

Quindi, i Trust Tokens consentono di trasmettere l'attendibilità di un utente da un contesto a un altro senza identificare l'utente.

Un esempio per favore…

Immaginiamo che l’utente Tizio acquisti su un sito di scarpe un paio di mocassini neri. Tutta la fase di compravendita procede senza problemi (si autentica, inserire i dati di spedizione e il numero della propria carta di credito). A questo punto, dato che tutto è andato a buon fine, il sito di scarpe fornisce all’utente (ovvero al suo browser) un Trust Tokens, che - si può dire - ne fa un “utente modello”, degno di fiducia.

Questo utente va poi a leggersi il giornale online, e lì clicca su un annuncio pubblicitario.

Il sistema - grazie a Trust Tokens - riconosce che l’utente è un “vero” utente, e conta come valida la conversione.

Immaginiamo invece che un bot scorrazzi libero per il web, e si metta ad cliccare su tutti gli annunci pubblicitari. Siccome non ha mai guadagnato un Trust Tokens, le sue conversioni non vengono conteggiate. Così i Brand risparmiano budget pubblicitario e le agenzie media offrono un servizio migliore ai propri clienti.

Questo - peraltro - è solo uno dei casi d’uso in cui possono essere utilizzati i Trust Tokens con successo.

 

FLoC

Floc system

FLoC è un API basata su un algoritmo proprietario di Google che offre un nuovo modo - dopo i cookie di terze parti - per la profilazione degli utenti in base ai loro interessi, ovviamente tutelando la privacy degli stessi - secondo Google - in modo “migliore”.

Non tutti però la pensano così. La posticipazione al 2023 è dovuta infatti anche alle critiche che sono state mosse a Google rispetto al reale miglioramento della privacy - e della libertà degli inserzionisti - che FLoC dovrebbe garantire.

Come funziona FLoC?

Non appena un utente naviga su internet, il suo browser utilizza l'algoritmo FLoC per elaborare la sua "coorte di interesse". Come? In base ai siti che visita, l’utente sarà inserito in un gruppo di utenti con interessi simili. Nella "coorte di interesse" nessun utente sarà distinto dagli altri (la coorte avrà un ID identificativo unico e univoco, comune a tutti i membri), per garantirne l’anonimato. Il gruppo avrà un numero minimo di membri (più di qualche migliaia), sempre per rendere impossibile identificare il singolo utente.

Il browser dell’utente ricalcola periodicamente la coorte di appartenenza dello stesso, sul dispositivo dell'utente (quindi non in cloud), senza condividere i singoli dati di navigazione con il fornitore del browser o con chiunque altro.

Perché è utile a brand e agenzie media?

Gli inserzionisti possono includere un breve codice sui propri siti web al fine di raccogliere e fornire dati sulla coorte alle loro piattaforme adtech. Ad esempio, una piattaforma adtech potrebbe venire a conoscenza analizzando il traffico di un negozio di scarpe online che i browser delle coorti 1101 e 1354 sembrano interessati all'attrezzatura da trekking. Da altri inserzionisti, la piattaforma adtech apprenderebbe altri interessi di quelle coorti.

Successivamente, la piattaforma pubblicitaria può utilizzare questi dati per selezionare annunci pertinenti (ad esempio un annuncio per scarponi da trekking dal negozio di scarpe) quando un browser di una di queste coorti va - per esempio - su un sito web di notizie.

 

Gruppi di Interessi Privati (TURTLE-DOVE)

Turtledove system

Come abbiamo finora visto, il Google Privacy Sandbox è un insieme di diverse API. Se implementate insieme, forniranno funzionalità di navigazione anonime e di targeting comportamentale. Ogni API ha il suo obiettivo. TURTLEDOVE è una delle proposte di google che può rendere possibile il retargeting dopo l’eliminazione del cookie di terze parti.

Come funziona TURTLE-DOVE?

Quando un utente visita una pagina, il sito web può creare gruppi di interesse e aggiungere l'utente a uno qualsiasi dei gruppi di interesse, in base all'attività.

Supponiamo che un utente abbia visitato www.scarpebellissime.com. Ha selezionato la categoria "Scarpe Sportive”, le ha sfogliate ma non ha effettuato l'acquisto.

L'inserzionista, www.scarpebellissime.com, ha compreso l'interesse e l'intenzione dell'utente di acquistare scarpe sportive. Così decide di mostrare i suoi annunci di scarpe sportive all'utente. Come? Ha aggiunto l'utente al gruppo di interesse appena creato - “scarpe sportive” - in modo che possa essere retargettizzato. Tutti gli utenti che mostrano un comportamento simile vengono aggiunti a questo gruppo.

L'inserzionista (www.scarpebellissime.com) può permettere alle reti pubblicitarie di accedere a queste informazioni per massimo 30 giorni, al fine di mostrare annunci su altre piattaforme contestuali agli interessi degli utenti.

L'inserzionista non può quindi mostrare gli annunci da solo: deve essere in relazione con più reti pubblicitarie, al fine di riuscire a mostrare i suoi annunci agli utenti su tutto il web.

Per esempio, quando l'utente visita un sito supportato da annunci (“appassionatidicorsa.com”) e il browser scopre che il sito utilizza la rete pubblicitaria utilizzata anche da www.scarpebellissime.com per monetizzare il suo traffico, contatta la rete pubblicitaria e chiede annunci mirati per il gruppo di utenti che hanno mostrato interesse per “scarpe sportive”.

Cosa cambia rispetto al passato?

Rispetto ai cookie di terze parti utilizzati al fine di fare retargeting, la privacy e l’identità dell’utente vengono protette da due sistemi.

Willful IP Blindness: La Willful IP Blindness maschera l'IP dell'utente in modo che nessun fornitore pubblicitario possa identificarlo. Infatti un indirizzo IP può rivelare la “posizione” di un utente e correlarlo con altri dati noti.

Opaque Iframe: Per evitare lo scambio di informazioni tra ambienti diversi, l'annuncio viene posizionato in un "ambiente opaco". Per far ciò, l’annuncio viene consegnato in un pacchetto web, e il rendering avviene interamente a livello locale, così facendo l'iframe non consente attività di rete aggiuntive fino a quando non viene cliccato. In questo modo, i dati dell’utente non possono uscire verso l’esterno delle pagina dove l’annuncio viene mostrato.

 

Dati di prima parte per il targeting

La prima soluzione (parziale) per poter fare a meno dei cookie di terze parti consiste nell’utilizzare meglio i dati di prima parte (creati e impostati dai proprietari di un sito web).

Oggi brand e publisher li utilizzano poco e poco approfonditamente, perché richiedono un’attività di screening e di analisi autonoma non indifferente.

Fanno parte dei dati di prima parte anche gli indirizzi email degli utenti (recuperati tramite form e area private sui siti proprietari), e tutte le informazioni traibili dall’iscrizione ad aree private in piattaforme e siti, trasportabili poi su CRM (Customer relationship management) e CDP (Customer data platform).

Soluzioni a disposizione per disintermediarsi da Google

Ovviamente l’uso dei dati di prima parte offre notevoli opportunità di crescita per le aziende, obbligate a offrire esperienze personalizzate già su i propri touchpoint digitali.

Per esempio Neosperience offre una propria soluzione tecnologica proprietaria per ovviare all’eliminazione dei cookie di terze parti, in grado peraltro di “dialogare” con i nuovi strumenti del Google Privacy Sandbox.

Neosperience User Insight è il software intelligente - basato sui nostri algoritmi di deep learning - che permette di scoprire il profilo psicografico (ovvero quell’insieme di tratti comportamentali che delineano certe tendenze ed abitudini di consumo) dell’utente attraverso l’analisi del suo comportamento sui touchpoint proprietari digitali dei brand.

User Insight

L'Intelligenza Artificiale raccoglie gli eventi significativi nella navigazione dell’utente, e ad essi assegna un determinato punteggio e significato psicografico. Risultati alla mano, l'algoritmo è in grado di inserire il profilo dell'utente in un determinato cluster psicografico, su cui l'azienda può poi basare la propria comunicazione personalizzata.

Vediamone un esempio

Laura visita il sito www.amolamoda.com, su cui è installata la soluzione User Insight. In base al suo stile di navigazione (quali pagine visita, quali prodotti inserisce in carrello, quanto tempo rimane sulle pagine, come e dove muove il puntatore e decine di altri elementi), l’algoritmo inserisce Laura in un cluster psicografico, per esempio in quello detto di "Alto bisogno di appartenenza sociale".

Cosa vuol dire? Che Laura segue la moda e ascolta volentieri i consigli di amici e influencer su cosa indossare. Si affida a brand noti, di cui sceglie i prodotti più popolari.

user insight

Di conseguenza il brand, conoscendo il profilo psicografico di Laura, potrà mandarle - per esempio - una newsletter personalizzata con i prodotti iconici e i best seller, utilizzando un Tone of Voice ammiccante verso i desideri di riconoscimento dell’utente. O potrà invece far comparire a schermo call to action personalizzate in egual modo. In verità i campi applicativi sono quasi infiniti…

Uso dei dati di prima parte per la Lead Generation B2B

Un'altra soluzione utile allo scopo consiste nei software di anonymous tracking, che permettono - tramite la scoperta (nel rispetto della privacy) dell'IP dell'utente - di conoscere azienda, luogo e tipologia di dispositivo di chi visita il proprio sito web.

Un esempio in tal senso è Lead Champion, il nostro tool per la Lead Generation che analizza il traffico e fornisce tutta una serie di informazioni sull'utente e la sua azienda, così da permettere di entrare in contatto con lead interessate con il minimo sforzo.

Le proposte di Google

Anche Google stessa sta cercando di aiutare i brand a fare miglior uso dei dati di prima parte di cui dispongono.

  • Audience dirette per il programmatic: attualmente Google sta lavorando per espandere l’uso dei dati di prima parte per la creazione di campagne di pubblicità programmatica, inclusa l'asta aperta, che siano rispettose della privacy ed efficaci.
  • Indicatori diretti per i publisher: Google inoltre sta sperimentando una nuova funzione che abiliterà gli indicatori diretti (ovvero le informazioni di prima mano a disposizione degli inserzionisti) in Ad Manager. La soluzione consentirà ai publisher di attivare i dati relativi all’engagement dell’utente sui propri siti.
  • Relazioni di fiducia dei publisher:  infine Google sta sperimentando alcune funzionalità per permettere ai publisher di condividere i dati di prima mano crittografati direttamente con altre realtà, con i quali questi hanno già un rapporto diretto. I publisher avranno il pieno controllo sulle informazioni raccolte e su chi potrà ricevere i segnali, e Google non sarà in grado di leggere o decrittografare i segnali.

 

Il futuro della privacy passa da Apple: il caso di iOS15

Tra i giganti della digital economy, l’azienda che per prima ha compreso l’importanza della privacy per i propri clienti (andando incontro alle nuove sensibilità) è Apple.

Come abbiamo già detto, su Safari è già possibile richiedere il non utilizzo dei cookie di terze parti. Ma è da quest’anno che Apple ha deciso di fare il salto di qualità.

Con la pubblicazione di iOS15 vengono migliorate le funzionalità per la privacy per quasi tutti i tasselli dell’ecosistema digitale, dalle email, a Siri, dalle App alla VPN integrata per i clienti iCloud premium.

Ma vediamo le nuove funzionalità nel dettaglio.

  • Il Mail Privacy Protection è una funzionalità che consente di nascondere indirizzo IP, geolocalizzazione e storico delle email degli utenti, così facendo gli strumenti di email marketing non potrebbero più recuperare informazioni sull’apertura dell’email e sul comportamente dell’utente durante la lettura.
  • Il Rapporto Sulla Privacy è uno strumento che permette agli utenti di avere una panoramica dettagliata su come tutte le proprie app utilizzano i loro dati personali.
  • La VPN integrata, chiamata Private Relay, consente all’utente di mascherare il traffico Internet sul browser Safari e nascondere i dati di navigazione, che saranno inaccessibili anche alla stessa Apple. La funzionalità sarà integrata in iCloud+, la versione a pagamento di iCloud.
  • Gli utenti di iCloud+ avranno a disposizione anche la funzionalità Hide My Email che consente di creare un indirizzo e-mail temporaneo da utilizzare per iscriversi ai servizi online, evitando così di fornire il proprio indirizzo di posta elettronica reale.
  • La Intelligent Tracking Prevention, che consente di prevenire il tracciamento contenendo tecniche come il fingerprinting e il cross-site tracking su Safari, al fine di limitare le capacità dei web tracker di utilizzare l’indirizzo IP come un identificatore.
  • Infine, l’assistente vocale Siri, che oltre ad essere  in grado di gestire le richieste degli utenti anche offline, dal prossimo aggiornamento processerà le conversazioni direttamente sull’iPhone, evitando così che escano dal dispositivo.

Se riguardo la proposta di prodotti innovativi e rivoluzionari Apple sembra aver perso il proprio ruolo di leader, così non si può dire rispetto all’offerta di tecnologie per la protezione dei dati personali degli utenti: in questo campo, è l’azienda di Cupertino quella da battere.

 

Le reazioni degli addetti ai lavori al tema cookieless

Una ricerca dell'Osservatorio Internet Media della School of Management del Politecnico di Milano ha evidenziato - tramite un questionario somministrato agli “addetti ai lavori” - una forte rilevanza della tematica cookieless per tutto l'ecosistema di marketing e comunicazione, in quanto impatterà significativamente il targeting e la misurazione.

A inizio 2021, infatti, il livello di interesse rispetto allo scenario cookieless era “rilevante” e “massimo” per il 71% dei rispondenti. È importante però sottolineare come la maggior parte degli advertiser non abbia ancora preso in considerazione né approfondito il fenomeno, sottovalutandone gli impatti sui risultati di business.

La preoccupazione delle aziende

Considerando il livello di preparazione delle aziende rispetto allo scenario cookieless, il 50% dei rispondenti lo ha valutato “assente/minimo” o “limitato”. Inoltre, dalle interviste è emerso che le aziende advertiser “più evolute”, ossia quelle che hanno cominciato ad approcciare la tematica con maggiore attenzione, vivono un sentimento di generale preoccupazione e disorientamento, a causa di una deadline non ancora ufficializzata e una mancanza di soluzioni alternative.

Rispetto a quest'ultimo punto, il 51% dei rispondenti ha affermato che la propria azienda si è effettivamente attivata per trovare una possibile soluzione/alternativa per affrontare le criticità emergenti dallo scenario cookieless: nello specifico il 9% sta già testando alcune soluzioni alternative, il 7% ha già individuato le soluzioni alternative che utilizzerà e il 35% ha avviato la ricerca.

 

Conclusioni

I professionisti stanno quindi - al momento - navigando a vista, dato che né Google né altre realtà hanno ancora ben chiaro cosa ne sarà del mondo pubblicitario online con la fine dei cookie di terze parti. È un panorama nuovo, a cui il gigante di Mountain View sta cercando di dare fondamenta con gli strumenti che abbiamo visto in questo approfondimento, ma questo non senza sollevare critiche.

Per esempio, il sistema FLoC ha fatto storcere il naso a più di un addetto ai lavori, per i dubbi sul rispetto della privacy che scaturiscono da un sistema di profilazione chiuso sì, ma in mano e analizzabile nei risultati solo da Google stessa.

Niente è ancora certo, se non la fine dei cookie di terze parti entro il 2023 (ma forse neanche quello...): nel frattempo sarà compito di tutti trovare una soluzione alternativa ugualmente valida, ma che garantisca un livello maggiore di privacy e sicurezza per gli utenti.

 

Fonti:

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