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Internet per tutti: storia e futuro dell’accessibilità web

Accessibilità Web e OpenAble

L’avvento di Internet negli ultimi decenni ha rivoluzionato totalmente il modo di comunicare, lavorare e condividere informazioni.

All’abbattimento delle barriere spaziali e temporali, tuttavia, non è andato di pari passo con l'abbattimento delle barriere architettoniche digitali per gli utenti con una qualche forma di disabilità – 87 milioni di persone nella sola Unione Europea e 1,3 miliardi di persone nel mondo, il 16% dell’intera popolazione mondiale.

In base a quanto stabilito dal World Wide Web Consortium (W3C), l’accessibilità dei siti Web è la capacità di un sito di essere fruito efficacemente, nella sua interfaccia e nel suo contenuto, da ogni utente.

Rendere accessibile il proprio sito Web equivale a estendere al maggior numero possibile di persone l’accesso alle informazioni: non solo ai soggetti con disabilità fisiche e cognitive, ma anche a chi per esempio dispone di strumenti hardware e software limitati.

Per questo motivo negli ultimi decenni sono state definite linee guida e progettate soluzioni che garantiscono nella teoria e nella pratica il rispetto di precisi standard di accessibilità per i siti Web nel settore pubblico e privato.

L’accessibilità dalla nascita di Internet a oggi

Si può considerare la legislazione sull’accessibilità web come una naturale derivazione delle legislazioni anti-discriminazione già in vigore in diverse aree del mondo.

Negli Stati Uniti, per esempio, è di vitale importanza l’inclusione, all’interno dell’American Disabilities Act del 1990, dei places of public accommodation (Title III), ovvero degli spazi, sia virtuali che reali, dove sono presenti servizi per il pubblico.

La necessità di rendere accessibili gli ambienti digitali si è manifestata fin dai primi anni di esistenza del World Wide Web, ancora prima che la sua portata innovativa si diffondesse a livello globale così come la conosciamo oggi.

Già nel 1996, infatti, Tim Berners-Lee, l’inventore stesso del World Wide Web, esponeva in una newsletter intitolata proprio “Disabilities and the Web” la necessità di costituire un’area operativa del W3C dedicata a promuovere un alto livello di usabilità per le persone disabili che utilizzano il Web.

Proprio a cavallo tra gli anni ‘90 e i primi anni 2000 Microsoft e Apple avevano iniziato a introdurre, all’interno dei rispettivi sistemi operativi, le prime opzioni di accessibilità, che includevano la possibilità di modificare gamma cromatica del display e abilitare la navigazione assistita, tramite tastiera e successivamente via sintesi vocale.

Nel 1999 vide la luce la prima versione delle Web Content Accessibility Guidelines (WCAG): come approfondiremo nel paragrafo dedicato, queste linee guida forniscono uno standard di valutazione dell’accessibilità web in base a tre progressivi livelli di conformità (A, AA, e AAA).

 

La sfida del Web design responsivo

Con il passare del tempo l’evoluzione del Web e dei suoi standard di codifica ha portato alla realizzazione di piattaforme sempre più articolate nelle interfacce e nella funzionalità. L’introduzione di nuovi formati, uno tra tutti il mobile, unita alla possibilità di progettare siti dal design sempre più complesso e visivamente accattivante, ha infatti complicato di molto il panorama dell’accessibilità web.

Tra i problemi più frequenti figurano:

  • Scelte cromatiche con basso contrasto o livelli di luminosità che rendono difficile la lettura e la decodifica del contenuto;
  • Link senza descrizione, o con descrizioni poco significative se lette automaticamente;
  • Contenuti poco responsivi su diverse tipologie di display, sistemi operativi e tecnologie utilizzate per la fruizione del sito;
  • Architettura dell’informazione poco chiara, dove risulta difficile o impossibile localizzare un contenuto specifico;
  • Testo alternativo per le immagini assente o usato in modo erroneo.

In base alle statistiche di WebAIM, infatti, ben il 97% del milione di siti web più frequentati non rispetta gli standard di accessibilità delle WCAG: si tratta di una statistica preoccupante, che rende ancora più urgente la necessità di riportare l’accessibilità web al centro del discorso a livello di programmazione e di user interface design.

 

Accessibilità, usabilità e inclusione

I concetti di accessibilità, usabilità e inclusione, sebbene non siano esattamente sinonimi, sono aspetti strettamente correlati tra di loro e con ampie aree di sovrapposizione nella progettazione di siti web.

L’accessibilità web si concentra sulle necessità delle persone con diversi tipi di disabilità, sia congenita che temporanea; al tempo stesso però le soluzioni di accessibilità contribuiscono a migliorare l’usabilità per chiunque – a prescindere dalle proprie condizioni fisiche – si trovi in situazioni di fruizione limitata.

La presenza di contenuti video sottotitolati, per esempio, è utile non solo agli utenti con problemi d’udito o disturbi di attenzione, ma anche a chi si trova in un ambiente rumoroso, in cui è difficile comprendere al meglio il parlato.

Allo stesso modo applicare le norme di usabilità a un form o a una landing page, rendendo chiare le istruzioni e le tappe della user journey, non aiuta solo ad aumentare le conversioni ma fornisce anche un prezioso aiuto agli utenti con disabilità cognitive e dell’apprendimento.

Queste buone pratiche concorrono alla progettazione di siti web inclusivi, ovvero in grado di coinvolgere tutti gli utenti, in qualunque condizione essi si trovino, nella misura più ampia possibile.

Le normative di accessibilità web

 

Nel mondo: Web Content Accessibility Guidelines

Le Web Content Accessibility Guidelines (WCAG), in italiano Linee guida per l’accessibilità dei contenuti Web, sono un insieme di standard tecnici redatti dal World Wide Web Congress, il consorzio internazionale che redige raccomandazioni e stabilisce gli standard di riferimento per il Web.

L’obiettivo delle WCAG è proprio quello di rendere Internet più inclusivo e accessibile alle persone con disabilità, compatibilmente con lo sviluppo delle nuove tecnologie.

Nel corso del tempo le WCAG sono diventate uno standard industriale per i test di accessibilità, al punto da costituire la base per la maggior parte delle norme e delle linee guida di accessibilità Web nel mondo.

 

Principi e linee guida

Le linee guida WCAG sono ormai giunte alla versione 2.1, pubblicata come W3C Recommendation a giugno del 2018. A partire dalla versione 2.0 il testo integrale di queste linee guida si articola in quattro principi, intesi come la base necessaria per l’accesso e l’utilizzo di Internet.

Per essere considerato accessibile un sito Web, inteso come insieme di informazioni e componenti dell’interfaccia utente, dovrà essere:

  • Percepibile indipendentemente dall’inibizione di uno o più sensi o capacità motorie;
  • Utilizzabile anche attraverso strumenti assistivi o browser alternativi;
  • Comprensibile a tutti nel suo contenuto e funzionamento;
  • Consistente e in grado di essere interpretato in modo affidabile da un’ampia gamma di user-agent.

Per una prima verifica dell’accessibilità di una pagina Web la Web Accessibility Initiative mette inoltre a disposizione una lista suddivisa in pratici punti, i cosiddetti “Easy Checks” che consente di farsi un’idea immediata delle aree su cui intervenire:

  • Titolo della pagina
  • Alternative al testo delle immagini (“alt text”)
  • Testo:
    • Titoli
    • Rapporto di contrasto (“contrasto di colore”)
    • Ridimensionamento del testo
  • Interazione:
    • Accesso da tastiera e focus visivo
    • Moduli, etichette ed errori (compresi i campi di ricerca)
  • Generale:
    • Contenuto in movimento, lampeggiante o intermittente
    • Alternative multimediali (video, audio)
    • Controllo della struttura di base

 

Accessibilità Web in Unione Europea: Web Accessibility Directive

Entrata in vigore nel 2016, la Web Accessibility Directive (Direttiva UE 2016/2102) regola l’accessibilità Web per i siti Web e le applicazioni mobili degli enti pubblici dei Paesi membri dell’Unione Europea.

La normativa stabilisce che i siti Web del settore pubblico debbano essere “percepibili, operabili, comprensibili e robusti” – in sostanza, pienamente fruibili da parte di tutti, compresi i cittadini con disabilità.

I requisiti tecnici minimi, dettati nel documento EN 301 549 V3.2.1 (2021-03), corrispondono allo standard WCAG 2.1 livello AA stabilito dal World Wide Web Congress. In aggiunta i siti Web interessati da questa direttiva dovranno inoltre pubblicare una Dichiarazione di accessibilità.

Gli Stati membri devono verificare la conformità alla WAD dei siti Web interessati individuando eventuali mancanze per mezzo di verifiche automatiche, manuali e di usabilità. Ogni tre anni dovranno inoltre presentare alla Commissione una relazione sugli esiti del monitoraggio.

 

Accessibilità Web in Italia: legge Stanca e linee guida AGID

L’accessibilità Web in Italia è regolata dall’Agenzia per l’Italia Digitale (AGID), l’organo che contribuisce alla diffusione dell’utilizzo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT).

La norma di riferimento per l’accessibilità dei siti Web in Italia è la legge Stanca, o legge 4/2004, che stabilisce le disposizioni per l’accesso dei soggetti disabili agli strumenti informatici.

Questa legge, ampliata l’anno successivo da un regolamento attuativo, definisce i requisiti e le disposizioni da rispettare per garantire la piena accessibilità e fruibilità dei siti Web e delle applicazioni mobili a tutti i cittadini.

Dal punto di vista tecnico, le linee guida per l’accessibilità Web emanate dall’Agenzia per l’Italia Digitale si basano sul livello AA delle Linee Guida per l’accessibilità dei contenuti Web (WCAG) 2.1.

La legge Stanca coinvolgeva inizialmente la Pubblica Amministrazione e i soggetti privati concessionari di servizi pubblici. Il DL 76/2020 ha esteso gli obblighi di accessibilità anche ai soggetti privati che negli ultimi tre anni di attività hanno raggiunto un fatturato medio superiore a 500 milioni di euro.

Questi tre soggetti sono obbligati a rispettare le linee guida emanate dall’Agenzia per l’Italia Digitale in termini di accessibilità Web e a inserire nel footer del sito Web una Dichiarazione di Accessibilità che ne dichiari o autodichiari la conformità.

 

Intelligenza Artificiale e accessibilità

Più di tre decenni dopo l’avvento del World Wide Web, i riflettori sono ora puntati sull’evoluzione dell’Intelligenza Artificiale: grazie alle svariate applicazioni di algoritmi sempre più avanzati alle diverse aree del Web possiamo dire di essere alle porte di un’ulteriore rivoluzione nel nostro modo di rapportarci alla tecnologia.

L’Intelligenza Artificiale può dare un contributo prezioso nella generazione di contenuti assistivi. Negli ultimi anni si stanno sviluppando soluzioni in grado di:

  • Sottotitolare automaticamente i contenuti video;
  • Riconoscere il contenuto delle immagini grazie a reti neurali avanzate e fornire una descrizione alternativa;
  • Individuare i punti salienti di un contenuto testuale e riassumerlo grazie al Natural Language Processing;
  • Leggere il labiale;
  • Riconoscere e decodificare anche un parlato irregolare.

Al giorno d’oggi, tuttavia, l’Intelligenza Artificiale è utilizzata soprattutto per effettuare test di accessibilità web, in grado di individuare problemi e funzionalità mancanti a livello di interfaccia utente e layout, ma anche di codifica.

Anche se i risultati migliori si ottengono in combinazione con procedure di user testing da parte di professionisti del settore, i test automatici sono un ottimo primo passo per ottenere una panoramica sull'accessibilità generale di un sito web e pianificare eventuali interventi operativi in questo campo.

 

OpenAble: la soluzione per un web più accessibile

Garantire l’accessibilità dei prodotti e dei servizi digitali è importante tanto quanto garantire l’accessibilità dei trasporti, dell’istruzione e della sanità.

Il potenziale delle nuove tecnologie, inclusa l’Intelligenza Artificiale, rende ancora più semplice fornire agli utenti esperienze uniche e personalizzate. Innalzare barriere architettoniche digitali in nome dell’estetica, trascurando l’usabilità e la funzionalità, equivale a sprecare questa grandissima opportunità.

In Neosperience siamo consapevoli della necessità di offrire a tutti gli utenti del web, nessuno escluso, un’esperienza inclusiva, personalizzata ed empatica.

Per questo abbiamo progettato OpenAble, la prima soluzione 100% italiana per superare le barriere architettoniche digitali.

OpenAble è un tool dedicato alla Web Accessibility pronto all’uso: è scalabile e si adatta perfettamente alle necessità di aziende di ogni dimensione e traffico: da milioni di visite/mese, a poche centinaia. OpenAble è in grado di trasformare il vostro sito in un ambiente accogliente e inclusivo, per dare la possibilità a ogni visitatore di vivere l’esperienza digitale come meglio preferisce.

Prova OpenAble sul nostro sito e su openable.it e iscriviti al nostro webinar di lancio e scopri come rendere il tuo sito accessibile!

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Comunità montane e digitalizzazione

Il settore turistico è in fase di ripresa dopo la dura battuta d’arresto della pandemia. Anche se oggi si è tornati a viaggiare, tuttavia, le scelte e le aspettative dei turisti sono cambiate, aprendosi a scenari inediti o sottovalutati fino a qualche anno fa. 

Abbiamo riscoperto il valore del turismo di prossimità e siamo più consapevoli dell’impatto ambientale dei nostri spostamenti; soprattutto, il turismo è sempre più digitale, in particolare nella customer experience legata alla pianificazione e allo svolgimento del viaggio.

Per questa serie di motivi, in uno scenario ancora delicato e complicato dalla compresenza di diversi fattori di instabilità, la valorizzazione del territorio passa proprio dalla digitalizzazione e dall’adozione di nuove tecnologie integrate e personalizzate per le caratteristiche dei sistemi territoriali di riferimento.

Il turismo di montagna tra innovazione e sfide

Le comunità montane, nelle quali rientra più di metà del territorio italiano, costituiscono un sistema territoriale dotato di un grande patrimonio culturale materiale e immateriale. Oggi più che mai la montagna riveste un ruolo cruciale all’interno del panorama del turismo italiano, con un volume totale di presenze che sta rapidamente tornando ai livelli pre-pandemia.  

Veri e propri crocevia tra le attrazioni paesaggistiche naturali, la presenza di impianti sportivi e itinerari di camminata e la risonanza emotiva della cultura materiale e delle tradizioni, le comunità montane rappresentano una meta ambita da molti italiani sia nella stagione invernale sia in quella estiva. 

A questo si aggiunge una modalità di fruizione del territorio strettamente legata allo scenario post-pandemico, che assottiglia il confine tra turismo e residenza: quella del lavoro a distanza. Sempre più italiani, infatti, scelgono di allontanarsi dalle grandi città per andare – o tornare – a vivere e lavorare nei piccoli Comuni.

Comunità montane e digitalizzazione

Con il progetto Green Communities il PNRR accoglie queste tendenze e intende “favorire lo sviluppo sostenibile e resiliente dei territori rurali e di montagna che vogliono sfruttare in modo equilibrato le ricchezze di cui dispongono”. 

I fondi del progetto sono destinati allo sviluppo di più di 30 progetti di connessione del territorio tramite il turismo sostenibile, che insieme a piani di sviluppo energetico, ambientale, economico e sociale coinvolgeranno oltre 500 Comuni italiani con un investimento complessivo di 130 milioni di euro.

La grande sfida per le comunità montane italiane è tuttavia la necessità di colmare il gap nelle telecomunicazioni che ancora le divide dalle grandi città. Solo questa innovazione a livello infrastrutturale, risultato di uno sforzo congiunto tra il settore pubblico e privato, può abilitare l’implementazione di soluzioni di ultima generazione per il turismo.

Le nuove tecnologie svolgono infatti un ruolo chiave nel realizzare esperienze memorabili, capaci di far entrare i visitatori in connessione con il patrimonio culturale delle comunità montane e, contemporaneamente, contribuiscono a rendere queste aree più sicure e servite per turisti e residenti. 

Neosperience ha consolidato ormai un’esperienza molto significativa in questo ambito. Alla luce di essa abbiamo elaborato diverse proposte di innovazione dei sistemi territoriali, funzionali alla valorizzazione del turismo nelle comunità montane.

Gamification e AR/VR per esperienze coinvolgenti

Comunità montane e digitalizzazione

Si sente sempre più spesso parlare di gamification, ovvero dell’utilizzo di elementi derivati dal gioco per aumentare il coinvolgimento e la motivazione dei partecipanti. La gamification rappresenta un modo innovativo di aumentare l’engagement del pubblico e si può applicare a diversi prodotti e servizi. 

L’applicazione di queste dinamiche al turismo montano consente di creare esperienze di viaggio indimenticabili, ma anche guardare con occhi diversi i posti di tutti i giorni, proponendo di fatto un layer aggiuntivo di interazione che permette ai fruitori di vivere in prima persona la storia del luogo che si visita.

L’aggiunta di elementi in Realtà Virtuale e Realtà Aumentata alle applicazioni mobili trasforma anche il turismo di prossimità in una vera e propria avventura. I viaggiatori di tutte le età possono esplorare i luoghi d'interesse in modo nuovo e divertente, portando a termine “missioni” e raccogliendo punti.

Tra globale e locale

Una strategia di gamification locale come quella appena illustrata può inoltre essere integrata a soluzioni globali come il geocaching, una “caccia al tesoro” collettiva che conta più di tre milioni di partecipanti e si appoggia alla tecnologia GPS per il ritrovamento e lo scambio di notebook (logbook) e piccoli gadget.  

Anche compagnie di viaggio e strutture private come alberghi, rifugi montani e ristoranti possono fare tesoro della gamification. Soluzioni come la nostra Nudging Gamification permettono di realizzare applicazioni mobile personalizzate in accordo all’identità e agli obiettivi specifici della clientela.

Grazie alle iniziative di gamification, aziende e strutture possono aumentare il coinvolgimento e la fidelizzazione degli ospiti durante il loro soggiorno, ma anche raccogliere rapidamente e in modo efficace preziosi dati sulla clientela e misurare in modo quantitativo e qualitativo il successo delle iniziative.

Infine, la gamification può rivelarsi un importante strumento di sensibilizzazione sulle questioni ambientali, nell’ottica del cosiddetto “turismo responsabile”. La creazione di un senso di empatia nei confronti della natura e della storia di un luogo risulta infatti ancora più immediata e spontanea se i viaggiatori possono interagirvi in prima persona.

Intelligenza Artificiale per un turismo personalizzato

Comunità montane e digitalizzazione

L’Intelligenza Artificiale sta aprendo nuovi scenari in diversi settori applicativi, tra cui quello turistico. In questo mondo in costante cambiamento, che risente ancora delle limitazioni agli spostamenti degli ultimi anni, è diventato imperativo mantenersi al passo con i tempi e comprendere le nuove, spesso imprevedibili, abitudini dei viaggiatori.

Integrare l’Intelligenza Artificiale all’interno dei propri sistemi permette di instaurare una relazione continua e duratura con il cliente, basata sulla conoscenza profonda delle sue esigenze e preferenze. 

Questo discorso si applica ancora di più in casi come quelli delle comunità montane: come abbiamo illustrato nei paragrafi precedenti, infatti, spesso all’interno di un’area convivono modi e tempi di visita molto diversificati nel corso dell’anno.

Utilizzando l’analisi dei dati e il Machine Learning, i sistemi di Voice of Customer analizzano le preferenze individuali dei viaggiatori per la creazione di pacchetti personalizzati, dagli itinerari più impervi per i trekker esperti alle giornate di puro relax per chi stacca la spina dalla città.

Nello specifico, nel caso di strutture ricettive e ricreative legate alla dimensione del viaggio la Voice of Customer si evolve in Voice of Guest. Ascoltare la voce dell’ospite significa acquisirne e analizzarne le abitudini, individuando i fattori che influenzano le preferenze e le scelte di ogni cliente. 

Investire in soluzioni tecnologiche di ultima generazione proietta così la struttura ricettiva verso nuovi modelli di business, capaci di reagire più rapidamente ai cambiamenti nelle dinamiche di mercato e mantenere un posizionamento competitivo. 

Un altro aiuto al turismo proviene da Chatbot e agenti conversazionali. Queste forme di AI possono rispondere alle domande dei viaggiatori e aiutarli a prenotare voli, hotel e attività. 

L’utilizzo di sistemi di Natural Language Processing, o conversazione naturale, all’interno di queste soluzioni, consente di superare le barriere culturali e linguistiche per comprendere ed esaudire al meglio le esigenze di tutti.

Smart Security per prevenire gli incendi boschivi

Il pericolo di incendi boschivi interessa tutte le aree montane della penisola italiana. Il cambiamento climatico ha contribuito ad acuire questa situazione di rischio nel corso degli ultimi anni, rendendo necessarie soluzioni tempestive che possano prevenire sul nascere l’insorgenza di incendi, siano essi scatenati da fattori umani o naturali.

La prevenzione degli incendi boschivi è più importante che mai se si vuole preservare la biodiversità delle comunità montane e mettere in sicurezza le aree urbanizzate vicine. In questo contesto la tecnologia può offrire un valido aiuto. 

Lo dimostrano i progetti in cui è impegnata Neoscogen, società parte di Neosperience specializzata in Safety&Security che offre soluzioni di monitoraggio e individuazione automatica di eventi rilevanti in diversi settori. 

L’Intelligenza Artificiale alla base di Neoscogen, in combinazione con speciali termocamere di ultima generazione in grado di rilevare il fuoco anche a chilometri di distanza, consente di monitorare le aree a rischio e intervenire tempestivamente in caso di emergenza.

In caso d’incendio l’Intelligenza Artificiale può analizzare la situazione in tempo reale per determinare la migliore strategia di contenimento e limitazione dei danni, allertando le autorità competenti e predisponendo misure di evacuazione.

L’utilizzo di questi sensori ambientali è cruciale anche per identificare gli incendi ancora prima che il fuoco si propaghi, ma anche per raccogliere preziose informazioni sul clima e sulle caratteristiche della vegetazione a scopo preventivo.

Trasporto a chiamata per agevolare gli spostamenti

Dal Nord al Sud Italia, dalla Bergamasca alla Calabria, la gestione del trasporto pubblico nelle realtà territoriali piccole e medie è ancora una questione aperta

In questi contesti è necessario ripensare il sistema di trasporti per venire incontro alle necessità degli utenti – siano essi residenti o turisti – con soluzioni di trasporto a chiamata personalizzabili, scalabili e user friendly.

EasyBus è la soluzione realizzata da Somos, start-up di casa Neosperience legata a UniCal, che si pone l’obiettivo di rendere “su misura” il trasporto pubblico locale attraverso una suite di servizi tecnologici: da un’app nativa per la prenotazione dei posti a un sistema AI che monitora il servizio e sottolinea eventuali criticità nella frequenza delle corse.

Pensata per il controllo degli assembramenti durante l’emergenza COVID, EasyBus trova un’applicazione d’uso anche nelle realtà rurali e montane, poco servite dalla rete di mezzi pubblici, grazie al servizio di geolocalizzazione che permette di localizzare e prelevare i passeggeri direttamente dal luogo in cui si trovano.

Con le soluzioni Neosperience abilitiamo un’evoluzione dei flussi turistici, delle comunità e del territorio in ottica empatica, ecologica e sostenibile. Le nostre proposte di innovazione sono sostenute e valorizzate dalle nuove tecnologie e dalla volontà di supportare la crescita economica e culturale delle realtà territoriali e turistiche. 

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Diritti e doveri dell’Intelligenza Artificiale: a che punto è la legge?

AI e legge

L’Intelligenza Artificiale ne ha fatta di strada negli ultimi anni: crescendo in possibilità, abilità e diffusione, è entrata nella nostra vita di tutti i giorni, condizionandone le abitudini.

Per mano dell’iniziativa privata, gli algoritmi oggi regolano il nostro comportamento sui social, le preferenze per film e giochi, la possibilità di richiedere un mutuo o un prestito, la possibilità di avere successo in un colloquio di lavoro, e così via.

Affascinate e allo stesso tempo diffidenti nei confronti di questa nuova tecnologia, l’opinione pubblica e le istituzioni si trovano nella situazione di dover bilanciare gli innumerevoli vantaggi che le AI offrono con i rischi che comportano per i nostri diritti.

È quindi nata la necessità, condivisa tra Unione Europea e Stati Uniti, di regolamentare l’utilizzo delle Intelligenze Artificiali su più fronti, per evitare che i privati si ritrovino in mano più potere e responsabilità di quanto possano realmente controllare.

In questo approfondimento vedremo le caratteristiche delle norme più recenti – AI Bill of Rights e AI Act, al momento non vincolanti – che dovrebbero già nei prossimi anni diventare il punto di riferimento per la regolamentazione dell’Intelligenza Artificiale nel mondo.

AI Bill of Rights

Stilato dall’Ufficio per le politiche scientifiche e tecnologiche (Office of Science and Technology Policy, OSTP) della Casa Bianca a inizio ottobre 2022, l’AI Bill of Rights contiene una serie di linee guida per l’utilizzo ottimale dell’Intelligenza Artificiale e dei sistemi automatizzati ad essa connessi.

L’AI Bill of Rights non costituisce ancora una proposta di legge, né menziona pene o sanzioni per i sistemi automatizzati che non rispettano queste regole: è piuttosto da intendersi come una serie di raccomandazioni non vincolanti alle aziende e organizzazioni governative che intendono usufruire o fanno già uso delle Intelligenze Artificiali.

Il documento delinea 5 princìpi in base a cui regolamentare la progettazione e l’implementazione dell’Intelligenza Artificiale: il testo fa riferimento in particolare al settore pubblico statunitense, ma le indicazioni contenute possono essere applicate anche in altri contesti in cui se ne fa uso.

1 – Sistemi sicuri ed efficaci

I cittadini dovrebbero essere protetti dall’utilizzo di sistemi potenzialmente poco sicuri o inefficaci, che possono arrecare danni nei confronti del singolo e/o della comunità.

Per questo motivo i sistemi automatizzati, ancora prima di essere implementati, dovrebbero essere sottoposti a test indipendenti che ne valutino l’efficacia e la sicurezza.

2 – Protezioni contro la discriminazione algoritmica

Le Intelligenze Artificiali dovrebbero essere progettate e utilizzate in modo equo, adottando misure preventive per prevenire il rischio di discriminazione algoritmica.

Per “discriminazione algoritmica” si intende una disparità di trattamento da parte di un sistema automatizzato sulla base di criteri etnici, sociali o culturali.

3 – Protezione dei dati personali

I sistemi automatizzati dovrebbero contenere by design opzioni relative alla protezione dei dati personali e della privacy degli utenti e dovrebbero raccogliere solo i dati strettamente necessari al loro funzionamento.

Il punto fa riferimento anche alla necessità di stabilire un consenso esplicito da parte dell’utente, in modo non dissimile da quanto avviene in Unione Europea con il GDPR.

4 – Avvisi e spiegazioni

Bisognerebbe sempre sapere se e quando ci si sta interfacciando con un sistema automatizzato e quali sono gli eventuali impatti dell’interazione.

La trasparenza nell’utilizzo delle Intelligenze Artificiali include la necessità di esplicitare non solo la presenza della tecnologia in questione, ma anche il suo funzionamento, in linguaggio chiaro e accessibile a più persone possibile.

5 – Alternative umane, valutazioni e riserve

I cittadini dovrebbero essere sempre in grado di scegliere un’alternativa umana a un sistema automatizzato, nelle modalità in cui questa scelta risulti fattibile e appropriata.

La presenza di figure preposte alla supervisione e al monitoraggio è particolarmente raccomandata negli ambiti considerati “più sensibili”: la giustizia penale, le risorse umane, l’istruzione e la salute.

AI Act (Unione Europea)

L’AI Bill Of Rights rappresenta un importante segnale da parte degli Stati Uniti, superpotenza mondiale culla delle Big Tech, ma dal punto di vista della regolamentazione dell’Intelligenza Artificiale l’Unione Europea ha già compiuto diversi passi avanti.

L’AI Act, presentato nella primavera del 2021 e attualmente in fase di discussione tra il Parlamento Europeo e gli Stati membri, è un atto legislativo che punta ad applicare il principio della trasparenza e del rispetto dei diritti umani alla progettazione e all’utilizzo delle Intelligenze Artificiali.

L’obiettivo dell’AI Act è la regolamentazione dell’intero settore della produzione e della distribuzione dei sistemi automatizzati sul territorio europeo, in accordo con la normativa vigente negli Stati membri e con il Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati (GDPR).

L’AI Act presenta diversi punti di contatto con il più recente AI Bill Of Rights, dal quale si distingue per un taglio maggiormente normativo: prevede infatti l’obbligo di registrazione preventivo di questo tipo di tecnologia e il divieto di utilizzare tipologie di Intelligenza Artificiale ritenute “a rischio inaccettabile”.

Quali sono le AI ad alto rischio?

Il testo dell’AI Act suddivide le intelligenze artificiali in quattro classi di rischio, calcolate proporzionalmente in base alle potenziali minacce alla salute, alla sicurezza o ai diritti fondamentali delle persone.

Rischio inaccettabile

Rientrano in questa categoria le Intelligenze Artificiali che fanno uso di pratiche come la profilazione per fini coercitivi o di social scoring, oppure utilizzano tecniche subliminali, ovvero distorcono i comportamenti delle persone per provocare danni fisici o psicologici.

I sistemi di Intelligenza Artificiale a rischio inaccettabile sono da ritenersi proibiti, in quanto contravvengono nel loro funzionamento ai valori dell’Unione Europea e a diritti umani fondamentali come la presunzione di innocenza.

Rischio elevato

Rientrano in questa categoria i sistemi di Intelligenza Artificiale che hanno il potenziale di influire in modo significativo sull’andamento della democrazia o sulla salute individuale o collettiva.

Sono dunque considerate Intelligenze Artificiali ad alto rischio:

  • I sistemi utilizzati nell’istruzione o nella formazione professionale per la valutazione delle prove o l’accesso agli istituti;
  • I sistemi utilizzati per l’assegnazione di decisioni nei rapporti di lavoro e in ambito creditizio;
  • I sistemi destinati all’amministrazione della giustizia e alla prevenzione, l’accertamento, l’indagine e il perseguimento dei reati;
  • I sistemi destinati all’utilizzo nella gestione della migrazione, dell’asilo e del controllo delle frontiere.

L’AI Act dedica particolare attenzione alle applicazioni ad alto rischio dell’Intelligenza Artificiale. Queste ultime potranno essere immesse sul mercato, ma solo se rispettano una serie di requisiti obbligatori orizzontali che ne garantiscano l’affidabilità e se avranno superato diverse procedure di valutazione di conformità.

Rischio limitato

Rientrano in questa categoria i sistemi come i chatbot o i deepfake, che possono originare un rischio di manipolazione quando la natura dell’agente conversazionale non è resa chiara all’utente.

Per i sistemi di Intelligenza Artificiale considerati a basso rischio, l’atto impone ai produttori un codice di condotta basato sulla trasparenza delle informazioni condivise con il pubblico, che dev’essere consapevole in ogni momento di stare interagendo con una macchina.

Rischio minimo

Rientra in questa categoria la stragrande maggioranza dei sistemi esperti, automatizzati e di Intelligenza Artificiale attualmente utilizzati sul territorio europeo.

Per i sistemi di Intelligenza Artificiale considerati a rischio minimo le disposizioni lasciano ai fornitori la libertà di aderire ai codici di condotta e di affidabilità su base volontaria.

AI Liability Directive: verso la regolamentazione

A fine settembre 2022, proprio qualche giorno prima che oltreoceano si pubblicasse l’AI Bill Of Rights, la Commissione Europea ha rilasciato l’AI Liability Directive, una proposta legislativa sulle responsabilità giudiziarie dell’Intelligenza Artificiale.

In altre parole, questo documento rappresenta un primo passo verso l’applicazione di provvedimenti legali nei confronti degli individui o degli enti che subiscono danni connessi all’uso di questo tipo di tecnologia.

Nell’AI Liability Directive la Commissione Europea spartisce inoltre l’assunzione di responsabilità legale tra diversi soggetti: in primis ricadrà sulle società che mettono a disposizione l’Intelligenza Artificiale, ma coinvolgerà anche altri attori dell’intera supply chain, non ultimi gli utenti stessi.

Conclusione: è giusto limitare l’innovazione?

Non è mai corretto limitare l’innovazione, e peraltro lo scopo di norme e leggi ben scritte non è mai quello di bloccare la crescita di una tecnologia.

Le norme vivono nella cultura e nella storia in cui sono scritte, ne seguono la sensibilità e semplicemente indirizzano le tecnologie verso i bisogni più sentiti del momento, limitando i pericoli di creare danno alla società.

Non è infatti vietato – per fare un esempio – ricercare nuove terapie e medicinali grazie alle tecnologie genetiche; è invece vietato clonare un essere umano.

L’Intelligenza Artificiale non farà eccezione: come dimostrano le proposte messe sul tavolo negli ultimi anni da Unione Europea e Stati Uniti, nel prossimo futuro questa tecnologia sarà soggetta a regole che porteranno i produttori ad assumersi le responsabilità necessarie per i prodotti e i servizi che immettono sul mercato.

L’intento che guida questi provvedimenti è quello di preservare le libertà individuali e collettive. Si potrà innovare senza rischiare la libertà delle persone solo attraverso il controllo di realtà terze, alla luce della contemporaneità e grazie ai contributi di diverse aree di competenza – dalle scienze pure alla giurisprudenza, passando per data science e discipline umanistiche.

Noi di Neosperience siamo esploratori dell’innovazione. Ciò che ci ha guidato nello sviluppo dei nostri algoritmi di Intelligenza Artificiale, all’analisi del comportamento utente alla semplificazione dei processi aziendali, è la volontà di portare le persone e le organizzazioni in un ambiente digitale più umano e più empatico.

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Galileo - Festival della Scienza e dell'Innovazione

Dario Melpignano, CEO di Neosperience, sabato 15 ottobre ha preso parte al Festival Galileo di Padova con l'intervento "L'umano digitale e il digitale umano".

Nella cornice della Sala Rossini dello storico Caffè Pedrocchi, Melpignano ha dialogato con Roberto Siagri, fisico, imprenditore, presidente Carnia Industrial Park, co-fondatore e già amministratore delegato Eurotech sotto la moderazione della giornalista del Corriere della Sera Diana Cavalcoli.

Nel corso dello speech Dario Melpignano ha affrontato una tematica di grande attualità: la necessità di ripensare il rapporto tra umano e digitale alla luce dell'incertezza in cui stiamo vivendo.

 

Oltre l'umanesimo digitale

L'intervento di Dario Melpignano al festival Galileo è partito dalla raccolta "Crepuscolo" di Max Horkheimer, che raccoglie le considerazioni del futuro fondatore della Scuola di Francoforte sulla società tedesca negli anni del regime nazista. Viviamo anche oggi in tempi difficili, che richiedono in egual misura un ripensamento radicale del ruolo dell'uomo nel mondo.

In linea con Horkheimer, Melpignano ritiene necessario ridefinire e superare l'umanesimo, inteso come centralità auto-istituita dell'uomo nei confronti del mondo.

Così come è prevalsa fino a oggi nello sviluppo della cultura, della società e della sensibilità, infatti, tale centralità ha portato l'umanità e il pianeta in una condizione di crisi tale da mettere in pericolo la nostra stessa sopravvivenza come specie.

Declinando questo pensiero alla dimensione imprenditoriale, è necessario ridefinire il rapporto tra umano e digitale. La forte risposta emotiva di chi ha avuto la possibilità di provare l'esperienza dell'Overview Effect alla fiera Futura Expo, ricorda Melpignano, mostra la strada da seguire.

I nuovi modelli di pensiero e di business dovranno infatti mettere al centro la dimensione collettiva, il creato, la vita e l'amore, scardinando il modello accentratore prevalso sul Web nell'era dei social media.

 

Riguarda l'intervento

Se non riesci a visualizzare il video, visita questo link.

Al link qui sotto potrai sperimentare l'Overview Effect, la visione immersiva di un mondo senza confini e barriere grazie a Neosperience.

 

La via italiana alle start-up

La necessità di mettere in pratica nuovi modelli di business e di sviluppo in una dimensione storica di profonda incertezza passa inoltre dalle peculiarità del tessuto industriale italiano.

Gli imprenditori che intendono dare vita a nuove start-up devono infatti tenere conto delle specificità del nostro Paese, che presenta eccellenze dal punto di vista industriale ancora non declinate al massimo delle loro potenzialità nella dimensione digitale.

La via intrapresa da Neosperience, ricorda Melpignano, consiste proprio nell'agganciare nuove start-up verticali alle piccole-medie imprese con un focus industriale specifico.

Unendo expertise e competenze anche molto diverse tra loro è possibile creare valore e accelerare il processo di transizione digitale in modo alternativo rispetto agli "unicorni" e ai disruptor statunitensi.

Scopri le soluzioni che Neosperience offre alle aziende per una transizione digitale alla potenza dell'empatia:

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Le opportunità del Web 3D: intervista a Dario Melpignano

Web 3D

Il 20 settembre 2022 si è tenuto un approfondimento verticale sul “rapporto tra Metaverso e Web 3D" organizzato da Confindustria Brescia per la valorizzazione delle produzioni manifatturiere negli ambiti B2C e B2B.

Durante il suo speech Dario Melpignano, CEO di Neosperience, ha approfondito le logiche del Web 3D e il rapporto con il Metaverso, portando ad esempio progetti operativi come quello realizzato per Colombo New Scal SpA, realtà con sede nella provincia di Lecco che realizza prodotti per la casa.

Sentiamo da ogni parte dire che il Metaverso sta arrivando: che cosa significa questa affermazione?

Il Metaverso sta sicuramente arrivando, ma al tempo stesso si sta trasformando. Al giorno d’oggi il Metaverso si trova in una condizione simile a quella di Internet a metà degli anni ‘90, quando il Web si stava ancora consolidando nei suoi protocolli e nelle componenti fondamentali.

Oggi il Metaverso esiste in nuce, in forme prototipali e simili a videogiochi come Decentraland o Facebook Horizon, ma prenderà nel futuro una forma che ancora oggi nessuno conosce.

Anche così possiamo però già dare per consolidate alcune caratteristiche del Metaverso. Si tratta innanzitutto di parte del Web3, ossia dell’iterazione del Web più recente. Il Web3 si fonda su un’idea di Internet pervasivo, laddove il Web2, che nasce con l’introduzione sul mercato degli smartphone, è invece limitato dalle dimensioni degli schermi dei dispositivi.

Nel Metaverso, così come nel Web 3D che approfondiremo tra poco, la tridimensionalità delle esperienze gioca un ruolo centrale: grazie alla realtà virtuale e soprattutto alla realtà aumentata, combinata con ecosistemi di pagamento basati sulla blockchain, si dà vita a un nuovo modo di esperire il digitale, ma anche di rapportarsi alla realtà analogica.

A questo proposito, qual è la differenza tra Metaverso e Web 3D?

In estrema sintesi possiamo sottolineare che il Metaverso, almeno nella sua forma attuale, descrive delle piattaforme sociali e aperte, dove gli utenti possono interagire e creare i propri spazi con diversi dispositivi come i visori per la realtà virtuale o la realtà aumentata.

Quindi il 3D, inteso come capacità di rappresentare oggetti o spazi tridimensionali, è una delle componenti abilitanti del Metaverso, ma esiste già da molto tempo.

Il Web 3D, da non confondersi con il Web3 citato prima, è invece un'evoluzione tridimensionale del Web che presenta molte più opportunità in chiave di business.

Mentre il Metaverso opera ancora su logiche videoludiche ancora difficilmente interpretabili in chiave imprenditoriale, eccetto alcune operazioni di branding di alto livello, il Web 3D apre alle aziende la possibilità di creare un’area proprietaria e condividere contenuti che rappresentano un equivalente digitale dei prodotti o dei servizi offerti.

Nello specifico, nel contesto del Web 3D gioca un ruolo cruciale la Realtà Aumentata, che permette non di sostituire il mondo reale con qualcosa di alternativo, bensì di potenziarlo con un “layer” aggiuntivo di informazioni e contenuti.

Metaverso

Quali sono invece le tecnologie che sono il minimo comune denominatore tra Metaverso e del Web 3D?

Le differenze tra Metaverso e Web 3D sono dunque tante, ma altrettanti sono i punti di contatto che accomunano queste nuove frontiere del digitale. Sono sette le categorie su cui si gioca questa partita ancora aperta:

1. Hardware

2. Networking

3. Potenza di calcolo

4. Piattaforme virtuali

5. Standard di interoperabilità

6. Sistemi di pagamento

7. CRI: contenuti, risorse e servizi di identità.

Da un lato troviamo un insieme di dispositivi di fruizione esperienziali, in cui io posso vivere un prodotto o servizio, conoscere il prodotto di un’azienda in un mondo virtuale in una visione aperta e pronta a ogni realtà.

Dall’altro lato ci sono tecnologie che grazie alla scarsità dell’asset digitale abilitano un nuovo tipo di commercio, dove si acquisiscono diritti grazie alla navigazione di un ambiente digitale in Realtà Aumentata.

Tutti questi elementi possono e dovranno però convergere verso una visione aperta, libera e democratica: la forza degli albori di Internet, prima della concentrazione del potere intorno alle piattaforme social.

Ultimamente si sente parlare molto di Web3: ora che lo abbiamo distinto dal Web 3D, possiamo esplicitare anche questo concetto?

Mi rendo conto che i nomi assegnati in questo caso non ci siano per niente d’aiuto: il Web3 è l’ultima evoluzione del Web, che comprende e integra tante delle tecnologie che abbiamo appena elencato.

Non bisogna confonderlo con il Web 3D, che invece tocca l’aspetto della tridimensionalità e dell’utilizzo di dispositivi di fruizione esperienziali, così come l’abilitazione della scarsità degli asset digitali per un nuovo tipo di commercio, ma può anche intervenire a supporto di processi aziendali tradizionali.

Spazio Web 3D

Tornando invece al Web 3D, ci può fare qualche esempio di impiego strategico di questa tecnologia dal punto di vista dell’impresa, nei mondi sia Direct-to-Consumer, sia Business-to-Business?

Nelle imprese dell’oggi e del domani sarà sempre più necessario stabilire una relazione diretta e continuativa con i clienti, sviluppando spazi interattivi entro cui possano fare esperienza dei prodotti e dei servizi offerti. L’apprendimento cinestetico, come dimostrano gli studi condotti sul learning by doing, è un veicolo potentissimo: ricordiamo infatti fino al 70% di quello di cui facciamo esperienza, a fronte del 30% di ciò che vediamo.

Porterò in questa sede tre esempi rappresentativi dei concetti che abbiamo fissato in questa intervista, che dimostrano peraltro quanto le potenzialità del Web 3D siano scalabili, da grandi brand internazionali a piccole realtà, passando per le PMI Made in Italy.

A proposito di queste ultime, per Colombo New Scal, storica azienda produttrice di applicativi per la casa con sede nella provincia di Lecco, è stato implementato un progetto di Web 3D che permette di visualizzare i prodotti all’interno di un ambiente in Realtà Aumentata.

In questo modo i futuri clienti possono non solo visualizzare in 3D l’oggetto scelto, ma anche manipolarlo e collocarlo all’interno dell’ambiente reale in modo semplice e immediato.

Questo tipo di applicazione del Web 3D consente alle imprese di entrare in contatto con i clienti finali, ma in ottica B2B permette anche di far conoscere l’azienda e le caratteristiche dei prodotti anche senza bisogno di interagirci fisicamente, superando distanze e barriere.

Un’altra esperienza significativa di Web 3D è quella realizzata per Haier, brand cinese leader nel settore degli elettrodomestici. Grazie alla piattaforma Neosperience Reality Plus, che combina realtà virtuale e aumentata, è stato realizzato un vero e proprio showroom virtuale, una “Casa del futuro” che il cliente può navigare ed esplorare.

Questa evoluzione esperienziale del catalogo è applicabile infine anche alle piccole realtà commerciali: per Radius, attiva nel settore dell’ottica, è stato sviluppato un configuratore 3D di montature e lenti, che unisce alla finalità commerciale anche uno scopo di divertimento, verifica e validazione per il consumatore.

Infine è imprescindibile citare l’impiego della Realtà Virtuale in campo medico: la Johns Hopkins University ha messo a punto una tecnica di operazione di chirurgia spinale effettuata a distanza, utilizzando la tecnologia di rendering di un motore di videogiochi e la connettività 5G.

Già diverse aziende, come nel settore del fashion, hanno fatto esperienze all’interno del Metaverso. Come un'azienda oggi può usare al meglio queste tecnologie, in particolare con riferimento all’evoluzione del commercio?

In un contesto storico sempre più complesso, dove le imprese si trovano di fronte alla necessità di costruire e mantenere viva una community solida ed essere resilienti di fronte alle tante crisi che si susseguono, il futuro apparterrà alle aziende che saranno in grado di stabilire una relazione diretta e continuativa con i clienti.

In questa prospettiva il Metaverso, nelle forme che assumerà nel prossimo futuro, potrà essere l’ambiente dove questa community si incontra, ma è necessario che le aziende sviluppino ciascuna il proprio Metaverso, entrando in contatto diretto con la propria customer base.

La chiave di volta per superare i limiti di un mondo tecnologico che fino a questo momento ha privilegiato l’efficienza rispetto all’efficacia è l’empatia.

Ciò si traduce in una serie di pratiche virtuose: mettere al centro il rapporto con la customer community, utilizzare le tecnologie più avanzate per evolvere verso nuovi modelli di business e comprendere le esigenze psicologiche del cliente senza manipolarlo.

Web 3D

Questo può avvenire nel caso delle aziende che hanno processi collaborativi B2B?

Anche i processi collaborativi Business-to-Business possono beneficiare di questa evoluzione e diventare più stretti grazie al Web 3D: si può condividere rapidamente un prototipo con i propri buyer, visitare a distanza un impianto industriale, presentare i propri prodotti in maniera interattiva e in alcuni casi formare il cliente sull’utilizzo degli stessi.

La chiave, in questo processo di transizione digitale nel mondo delle imprese, è l’utilizzo accorto dell’Intelligenza Artificiale e del Machine Learning.

Lo sosteneva già Marshall McLuhan, ormai 60 anni or sono: ogni miglioramento nelle comunicazioni aumenta le difficoltà di comprensione. Un eccesso di informazioni equivale a nessuna informazione: i dati devono essere processati e interpretati per poter apportare un vantaggio significativo.

Quali sono, per concludere questa intervista, i suoi auspici per il futuro delle imprese nel digitale?

La concentrazione del potere nel mondo digitale è cresciuta troppo, la felicità online delle persone non è dove dovrebbe essere, e gli algoritmi sono diventati troppo potenti nel plasmare le opinioni della società. Se vogliamo influenzare il cambiamento verso un futuro migliore, per i nostri clienti e per le nostre aziende, il tempo di agire è adesso.

Siamo utenti di una tecnologia che però non conosciamo, oppure impariamo in maniera autodidatta e limitata. Superare l’approccio neopositivista della Silicon Valley è possibile, lo dimostrano a livello concettuale gli studi MIT e dalla Scuola di Business di Copenhagen.

Una strada per farlo anche nella pratica è declinare la tecnologia nelle sue diverse applicazioni, facendo incontrare tanto nella formazione accademica quanto nella pratica delle risorse aziendali le discipline STEM e il capitale culturale del Mediterraneo e della sua cultura umanistica.

Mentre iniziamo a passare dal Web2 al Web3, per noi imprenditori e non solo è il momento di informarci e di educare. Avere un’idea chiara di ciò che c'è dietro l'angolo è essenziale per essere informati: l’educazione permette di influenzare positivamente il mondo in cui viviamo, quello digitale così come quello analogico, che sono sempre più compenetrati in quell’unica esperienza formidabile che ci è concesso di sperimentare che è la nostra vita.

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Overview Effect: un’esperienza empatica, collettiva e universale

Overview Effect

Nel 1632, nel Dialogo sopra i massimi sistemi del mondo, Galileo Galilei portava a sostegno della teoria dell’eliocentrismo la convinzione che “Se voi poteste vedere la Terra illuminata mentreché voi fuste in luogo tenebroso come la nostra notte, la vedreste splendida più che la Luna”.

Nel 1968, più di tre secoli dopo, la missione spaziale statunitense Apollo 8 raggiunse l’orbita della Luna. Non fu questa l’occasione in cui gli astronauti atterrarono per la prima volta sul nostro satellite – l’allunaggio sarebbe avvenuto solo un anno dopo – ma accadde comunque qualcosa di sorprendente.

A un certo punto della diretta televisiva, infatti, gli astronauti Jim Lovell, Frank Borman e William Anders voltarono la videocamera e inquadrarono la Terra, confermando implicitamente quanto affermato da Galilei. Lo scatto che ne risultò, ribattezzato Earthrise, è ritenuto una delle fotografie più significative della storia dell’umanità.

Earthrise: Overview Effect

Durante la missione Apollo 8 per la prima volta tre esseri umani osservarono il nostro Pianeta dallo spazio, provando una profonda commozione di fronte alla bellezza e fragilità della Terra, perla azzurra persa nell’infinito dell’universo.

Ritornando dalla missione e avvicinandosi all’atmosfera, l’esperienza degli astronauti dell’Apollo 8 si fece più intensa. Davanti ai loro occhi si dipanavano distese di cicloni e perturbazioni, ma anche città illuminate nella notte, barriere coralline e aurore boreali – lo stesso panorama che, decenni dopo, osservano ancora oggi gli astronauti della Stazione Spaziale Internazionale.

Nel 1987 l’autore e filosofo Frank White ha assegnato un nome alla sensazione di meraviglia che si prova osservando la Terra dallo spazio: Overview Effect.

 

Cos’è l’Overview Effect?

Il termine Overview Effect, letteralmente “effetto della veduta d’insieme”, definisce il cambiamento cognitivo nella percezione percepito dagli astronauti e dai cosmonauti durante le missioni spaziali.

White, pur non avendo mai sperimentato di persona l’esplorazione spaziale, ha raccolto in un volume intitolato “The Overview Effect” le interviste a 29 astronauti, collegate appunto dal dirompente cambio di prospettiva che si verifica durante un viaggio spaziale.

Un’esperienza così radicale modifica per sempre la percezione del nostro pianeta. Le dichiarazioni raccolte da White enfatizzano nella maggior parte il senso di unità e interconnessione tra gli esseri viventi, la necessità di apprezzare e prenderci cura della nostra “casa”.

L’astronauta Jim Lovell, membro della già citata missione Apollo 8, evidenzia come, dalla Luna, la Terra sembri “una grande oasi rispetto alla grande vastità dello spazio”, mentre il cosmonauta Aleksei Leonov percepisce il pianeta come “la nostra casa che doveva essere difesa come una reliquia sacra”.

Dall’alto i confini e le barriere che definiscono la vita sulla Terra sono invisibili. Nella visione olistica che determina l’Overview Effect il nostro pianeta rivela tutta la sua magnificenza e, al contempo, tutta la sua fragilità.

 

Il “pallido punto blu”

Le sonde spaziali si spingono a distanze per il momento ancora impensabili per gli astronauti: le immagini che riescono a catturare mostrano la Terra come una piccola, fragile sfera su cui si concentra tutta la vita finora conosciuta, “appesa” nello spazio siderale, avvolta da una sottile atmosfera che la protegge dall’ambiente esterno.

Nel 1990 l’astronomo e scrittore Carl Sagan riuscì a ottenere che la sonda spaziale Voyager 1, prima di lasciare il Sistema Solare, voltasse la telecamera e scattasse una fotografia alla Terra da ben 6 miliardi di chilometri di distanza.

Nello scatto che ne derivò, ribattezzato da Sagan Pale Blue Dot, il nostro pianeta altro non è che un impercettibile pallino, largo meno di un pixel, solitario e microscopico nello spazio attraversato dal riflesso del Sole sulla telecamera della sonda. 

Pale Blue Dot

Nell’omonimo testo del 1994 Sagan riflette proprio su questo scatto, che suscita una versione indiretta e amplificata dell’Overview Effect:

“L’insieme delle nostre gioie e dolori, migliaia di religioni, ideologie e dottrine economiche, così sicure di sé, ogni cacciatore e raccoglitore, ogni eroe e codardo, ogni creatore e distruttore di civiltà, ogni re e plebeo, ogni giovane coppia innamorata, ogni madre e padre, figlio speranzoso, inventore ed esploratore, ogni predicatore di moralità, ogni politico corrotto, ogni “superstar”, ogni “comandante supremo”, ogni santo e peccatore nella storia della nostra specie è vissuto lì, su un minuscolo granello di polvere sospeso in un raggio di sole.”

La piccolezza del nostro pianeta davanti alla vastità dello spazio meraviglia e spaventa allo stesso tempo gli osservatori.

La necessità di creare una società planetaria con la volontà unitaria di proteggere e dare un futuro a questo "pallido puntino azzurro" nello Spazio, preservando l’ambiente e andando oltre a confini e barriere sociali, diventa evidente e imperativa.

 

Nello spazio con la Realtà Virtuale

Fino a questo momento meno di 600 persone nella storia dell’umanità hanno potuto sperimentare in modo diretto l’Overview Effect osservando la Terra dallo spazio. Anche le fotografie più significative, nella loro bidimensionalità, non si avvicinano lontanamente all’esperienza olistica e totalizzante che questi ultimi hanno avuto il privilegio di provare.

I progressi della tecnologia nel campo della Realtà Virtuale (VR), tuttavia, danno a un pubblico sempre più ampio la possibilità di sperimentare l’Overview Effect grazie a esperienze immersive.

VR Overview Effect

La tecnologia della Realtà Virtuale, grazie alla sua controllabilità e la capacità di offrire un senso di presenza, rappresenta infatti un mezzo unico per progettare e studiare esperienze accessibili al pubblico.

È stato dimostrato che le esperienze in Realtà Virtuale ispirate alle esplorazioni spaziali, in particolare se combinate con effetti sonori e pratiche di mindfulness, riescono a suscitare una risposta emotiva profonda di meraviglia e stupore nel pubblico. In altre parole, non serve essere astronauti né bisogna attendere di diventare turisti spaziali per provare l’Overview Effect.

 

Overview Effect: un cambio radicale di prospettiva

L’Overview Effect dimostra che un cambio di mentalità è spesso questione di un cambio radicale di prospettiva. Passando dal particolare all'universale, dal singolare al collettivo, elevandoci al di sopra dei confini e delle barriere della vita quotidiana riscopriamo ciò che ci rende umani.

Portare questa mentalità all’interno dei processi aziendali è il primo passo per garantire la realizzazione di prodotti e servizi davvero empatici.

Da anni Neosperience guida le aziende nella trasformazione digitale grazie a un ecosistema di soluzioni tecnologiche empatiche, che soddisfano e anticipano i bisogni e le esigenze dei clienti. 

Aiutiamo le imprese a innovare le loro strategie di business partendo dai dati e dalla loro analisi in tempo reale e fornendo loro la chiave strategica per costruire il presente e il futuro dell’azienda sul mercato.

 

Neosperience a Futura Expo 2022

Neosperience crede nelle potenzialità della tecnologia VR, fino ad oggi sfruttate solo parzialmente dai brand per offrire esperienze realmente immersive. 

Dopo aver portato a termine progetti vincenti che hanno aperto le potenzialità della Realtà Virtuale nell’e-commerce, abbiamo portato la nostra esperienza di Overview Effect a Futura Expo, la fiera dedicata a una visione del futuro in cui Uomo, Natura, Ambiente ed Economia convivono in armonia.

Futura Expo

A partire da domenica 2 ottobre e fino a martedì 4 ottobre i visitatori di Futura Expo 2022 hanno potuto sperimentare nel nostro stand un’esperienza in Realtà Virtuale che simula l’osservazione della Terra dallo spazio per mezzo di visori Oculus Quest 2.

Con questa scelta ci siamo posti l'obiettivo di dimostrare che la Realtà Virtuale non è un "esercizio di stile", né una moda destinata a essere presto soppiantata, bensì uno strumento utile a offrire nuovi punti di vista alle persone e permettere loro di sperimentare situazioni out of this world

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Generative Art: orizzonti e limiti delle AI “creative”

dalle mini descrive l'empatia

In copertina: Dall-E Mini, “Generative Art About Empathy In Blue Tones”, medium digitale, 2022 

 

Dai bizzarri accostamenti di immagini creati da Dall-E Mini al mercato degli NFT: le immagini generate da algoritmi di Intelligenza Artificiale stanno entrando sempre di più nell’immaginario comune. Al tempo stesso questa stretta intersezione tra arte e tecnologia solleva diversi interrogativi.

Può una macchina generare opere d’arte in autonomia? Se sì, qual è il futuro della produzione artistica nel momento in cui non è più un’esclusiva dell’umanità? Quali sono i limiti e i rischi, ma anche le potenzialità, di questo tipo di arte?

 

Cos’è la Generative Art?

La Generative Art è un tipo di arte, nella maggior parte dei casi visiva, che si basa sulla cooperazione tra un essere umano e un sistema autonomo. Per “sistema autonomo” si intende un software, algoritmo o modello di IA in grado di eseguire operazioni complesse senza bisogno dell’intervento del programmatore.

La casualità (randomness) è una proprietà fondamentale della Generative Art. A seconda del tipo di software il sistema autonomo è in grado di elaborare risultati sempre diversi e unici ogni volta che si esegue il comando di generazione, o può restituire un numero variabile di risultati in risposta all’input dell’utente.

I primi esperimenti di Generative Art risalgono agli anni Sessanta con gli esperimenti di Harold Cohen e del suo programma AARON. Cohen utilizzò per primo software autonomi per generare opere d’arte astratte e ispirate alle serigrafie della Pop Art. Le opere di Cohen sono oggi esposte alla Tate Gallery di Londra.

Un altro attributo della Generative Art, che però rappresenta sempre meno una prerogativa, è la ripetizione di pattern o elementi astratti forniti dal programmatore e implementati all’interno del codice del software.

Lo sviluppo di reti neurali sempre più complesse che operano sull’associazione testo-immagine ha permesso d’altra parte lo sviluppo di modelli generativi in grado di creare immagini sempre più realistiche e accurate. L’esempio più noto di questa categoria di Generative Art è Dall-E.

 

Dall-E e CLIP: la rivoluzione nel riconoscimento per immagini

Dall-E è un una rete neurale multimodale basata sul modello di deep learning GPT-3 di OpenAI. Questo sistema è capace di generare immagini a partire da una descrizione testuale sulla base di un dataset di coppie testo-immagine.

La prima versione di Dall-E, presentata al pubblico a gennaio del 2021 e rimasta prerogativa di un numero ristretto di professionisti del settore, ha rappresentato una vera e propria rivoluzione per quanto riguarda questo tipo di modelli generativi, superando le innovazioni dello stesso GPT-3.

Dall-E Mini

Dall-E è infatti in grado di generare immagini plausibili da una grande varietà di frasi e prompt testuali, anche caratterizzati da una struttura linguistica composita. Il modello di OpenAI si dimostra in grado di comprendere e realizzare:

  • La struttura prospettica dell’immagine
  • La struttura interna ed esterna di un oggetto
  • Confronti e sequenze tra diverse immagini
  • La collocazione spazio-temporale degli oggetti.

L’accuratezza dei risultati elaborati da Dall-E si è rivelata il campo di applicazione perfetto per un’altra soluzione di OpenAI: CLIP (Contrastive Language–Image Pre-training), una rete neurale di classificazione e ranking di immagini addestrata sulla base di associazioni testo-immagine, come le didascalie presenti su Internet.

Grazie all’intervento di CLIP, che riduce a 32 il numero di risultati proposti all’utente per ogni prompt, Dall-E si è rivelata in grado di restituire immagini soddisfacenti nella maggior parte dei casi. I risultati ottenuti sono tuttavia di qualità bassa e presentano ancora evidenti limiti nell’elaborazione di alcuni tipi di associazioni logiche tra elementi, come la collocazione all’interno di uno spazio.

 

Dall-E Mini conquista Internet

Nel mondo dell’arte l’imitazione è la forma più sincera di complimento. OpenAI non ha mai reso pubblico il codice di DALL-E, ma ci sono voluti solo pochi mesi prima che comparisse una versione meno raffinata della rete neurale, basata tuttavia sugli stessi principi di associazione e combinazione di immagini appartenenti a un database di circa 30 milioni di elementi.

Si tratta di Dall-E Mini, un progetto del developer americano Boris Dayma rilasciato sulla piattaforma di hosting open-source HuggingFace. Resa disponibile a tutti sotto forma di una semplice web app nella primavera del 2022, Dall-E Mini è presto diventata, per definizione della testata Wired, “Internet’s favorite meme machine”.

La possibilità di generare 9 immagini in bassa risoluzione a partire da qualunque prompt, anche i più bizzarri, ha scatenato la fantasia degli utenti, che si sono divertiti a creare combinazioni divertenti e surreali e a condividerle su piattaforme come Twitter e Reddit.

Dall-E Mini

In poche settimane Dall-E si è trovata a elaborare circa 50mila immagini al giorno e ha attirato l’attenzione di utenti normalmente poco interessati agli sviluppi dell’Intelligenza Artificiale, fornendo allo stesso tempo ai professionisti diversi spunti di riflessione sull’applicazione di queste tecnologie su più vasta scala.

 

Limiti e autoimposizioni della Generative Art

Il grado di popolarità raggiunto da Dall-E Mini ha aperto fin da subito interrogativi sui possibili rischi che si possono nascondere nella Generative Art, in particolare per quanto riguarda i modelli in grado di elaborare immagini contenenti persone e oggetti reali.

Le immagini elaborate da Dall-E Mini hanno un aspetto inconfondibile: spesso i contorni dei soggetti sono poco definiti o distorti, mentre i volti umani sono quasi sempre deformati al punto da non essere più riconoscibili. Nella maggior parte dei casi, dunque, la natura artificiale delle immagini generate è ben chiara all’utente, così da ridurre al minimo la probabilità di generare deepfake con intenti malevoli.

Ciononostante, la natura open-source di Dall-E Mini e la vasta quantità di prompt inseriti dagli utenti hanno ben presto fatto emergere la necessità di regolamentare i risultati generati dalla rete neurale. Il database di Dall-E blocca le parole chiave più esplicite o violente: un sistema che, anche se ancora imperfetto, permette agli sviluppatori di mantenere sotto controllo i risultati restituiti all’utente.

D’altra parte, come accade per ogni Intelligenza Artificiale, all’interno di Dall-E e della sua versione Mini si annidano pregiudizi e bias sociali comuni agli esseri umani che hanno sviluppato queste tecnologie.

La rete neurale di OpenAI, per esempio, riflette gli stereotipi più superficiali sul cibo o sulla popolazione di un luogo quando i prompt contengono indicazioni geografiche; Dall-E Mini restituisce invece solo immagini di uomini al prompt “medico” e di donne al prompt “infermiere” (n.d.r. entrambi i termini sono di genere neutro in lingua inglese).

Generative Art bias

Tornando invece alle problematiche relative alla privacy, l’eventualità che la Generative Art possa mettere a repentaglio la sicurezza degli individui ritratti assume carattere di maggiore urgenza se si considera lo sviluppo di reti neurali sempre più avanzate, in grado di restituire risultati di qualità più alta e dai dettagli più precisi rispetto a Dall-E.

Dall-E 2, la seconda generazione della rete neurale di OpenAI presentata ad aprile 2022, cerca anch’essa di ridurre questo tipo di rischi rafforzando le regole di filtraggio dei dati di addestramento del sistema e delle parole chiave accettate. I pochi professionisti che finora hanno ottenuto accesso a Dall-E 2 rispondono inoltre a norme ancora più rigide, almeno finché le capacità e i limiti della nuova tecnologia saranno ancora in fase di test.

 

Dall-E 2, verso un modello subscription-based

Come già anticipato nel paragrafo precedente, in poco più di un anno i progressi nell’ambito della Generative Art sono stati sostanziali: Dall-E 2 è infatti in grado di generare immagini ancora più realistiche e accurate con una risoluzione quattro volte superiore alla prima generazione.

I miglioramenti di Dall-E 2 si concentrano soprattutto sulla combinazione di concetti, attributi e stili artistici. La rete neurale può ora apportare diverse modifiche a immagini pre-esistenti a partire da una descrizione in linguaggio naturale, aggiungendo o spostando elementi all’interno di una scena, ma anche creando variazioni a partire da un soggetto o un’opera originale.

Generative Art Dall-E 2

Dopo un periodo iniziale di accesso limitato, OpenAI è pronta a rilasciare Dall-E 2 in beta al primo milione di utenti in lista d’attesa. Al contrario di quanto accaduto con la prima versione, tuttavia, il consorzio fondato tra gli altri da Elon Musk e finanziato da Microsoft è pronto ad adottare un modello subscription-based strutturato in base a crediti.

Nello specifico, ogni utente della beta di Dall-E 2 riceverà un numero predefinito di crediti (50 all’iscrizione e 15 ogni mese seguente), ciascuno dei quali equivarrà a un’immagine generata dalla rete neurale. Una volta esauriti i crediti, gli utenti potranno acquistare un pacchetto da 115 crediti al costo di 15 dollari.

 

Generative Art: applicazioni presenti e future

Dalle bizzarre creazioni di Dall-E Mini, condivise ironicamente sul Web, a vere e proprie opere d’arte vendute all’asta per cifre astronomiche, la Generative Art sta raggiungendo negli ultimi anni un pubblico sempre più vasto.

Le immagini generate saranno per la prima volta utilizzabili per scopi commerciali oltre che personali. Gli utenti in lista d’attesa, spiega OpenAI, hanno già intenzione di utilizzare le immagini generate da Dall-E 2 per diversi tipi di progetti, tra cui alcuni più tradizionali:

  • Illustrazioni di libri per bambini
  • Concept art e storyboard per videogiochi e film
  • Moodboard per le consulenze in ambito design.

Uno degli sbocchi commerciali più fruttuosi per questo tipo di arte “nativa digitale” è tuttavia rappresentato senza dubbio dal mercato degli NFT.

Le immagini generate dalle reti neurali, combinate e rielaborate da artisti multimediali o proposte così come l’algoritmo le ha generate, possono essere caricate su blockchain e messe in vendita su marketplace come OpenSea o su piattaforme per la gestione indipendente dei propri token non fungibili, come ad esempio NFT Commerce.

D’altra parte, i risultati ottenuti da reti neurali come Dall-E assumono una grande importanza non solo per il loro valore estetico, ma anche per l’utilizzo in svariate applicazioni pratiche. Proprio sulla ricerca per immagine si sono concentrati gli sforzi di Google, che ha annunciato lo sviluppo di due AI dal funzionamento simile a quello di Dall-E, Imagen e Parti, nessuna delle quali è stata ancora condivisa con il pubblico.

 

Generative Art (?)

L’entrata in campo delle Intelligenze Artificiali ha aperto, all’interno della storia dell’arte, un capitolo ancora in gran parte da scrivere.

Già negli scorsi decenni la Pop Art ha sdoganato la serialità dei processi industriali all’interno delle arti visive, mentre il postmodernismo ha sciolto i nodi della società di massa in un ironico gioco di combinazioni. Ancora prima il Dadaismo ha invece contrapposto all’intenzione creativa la casualità giocosa delle libere associazioni.

Dal punto di vista culturale la Generative Art inserisce un’altra fondamentale variabile a questa cronologia: l’autonomia dello strumento rispetto all’autore. Questa autonomia mette in crisi e fa sorgere domande su alcuni punti essenziali.

AI Art

Paternità dell’opera

La paternità dell’opera è una questione aperta nel mondo dell’arte contemporanea. Lo dimostra la recente causa intentata a Maurizio Cattelan da parte di Daniel Druet, scultore che ha realizzato alcune delle installazioni più famose dell’artista senza mai comparire tra i crediti o nei cataloghi.

Se un’opera di arte visuale è generata da un’Intelligenza Artificiale, la paternità dell’opera spetta a quest’ultima, ai professionisti che l’hanno sviluppata o all’artista digitale che ha fornito il prompt? Infatti come può un dataset di associazioni testo-immagine, essere considerato un adeguato corrispettivo della facoltà di immaginazione?

Modelli a subscription

La produzione stessa delle Generative Art coinvolge inoltre modelli di business ancora in via di definizione. Il modello subscription-based è al momento quello più utilizzato nella creazione e distribuzione di contenuti, ma è anche quello che limita in misura maggiore l’indipendenza dello strumento e la libertà dei creativi.

Con una penna e un foglio un artista può creare ciò che vuole in libertà: la stessa cosa non avviene quando per dare voce alla propria creatività l’artista deve pagare mensilmente o “ad uso” una piattaforma di Generative Art, che peraltro può essere limitata e censurata da chi la gestisce.

I modelli a subscription sono complessi da gestire correttamente, proprio perché prevedono un continuo scambio di valore e libertà tra l’utente e l’azienda. Noi di Neosperience, dopo aver realizzato progetti sul tema con alcune delle aziende più importanti a livello nazionale e internazionale, offriamo le nostre competenze in materia attraverso sia un lavoro di business design, sia attraverso lo sviluppo di prodotti digitali dedicati.

Un’Intelligenza Artificiale libera da pregiudizi

Come abbiamo visto, per esaltare le potenzialità della Generative Art è necessario impiegare al meglio le specificità di questo mezzo nei diversi settori di applicazione; ma più di questo è essenziale progettare le intelligenze artificiali in modo empatico. È infatti possibile slegare i nostri pregiudizi come esseri umani dal codice che da vita alle Intelligenze Artificiali che andiamo a sviluppare?

Per raggiungere questo obiettivo occorre comprendere a fondo la natura ibrida della Generative Art, che chiama in causa tanto la cultura quanto la tecnologia. Sarà quindi necessario far dialogare in fase di progettazione data scientist e umanisti, per fornire alle intelligenze artificiali dataset capaci di produrre risultati spogli di preconcetti e al tempo stesso accurati e rappresentativi.

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